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Il peso delle lobby mediorientali in USA: l’Algeria

La scorsa settimana i media algerini hanno diffuso la notizia circa una richiesta di permesso avanzata dai governi francese e americano per far partire azioni militari sul suolo di Algeri – la richiesta sostanzialmente si riferiva a voli di sorveglianza e missioni lampo di forze speciali, per prepararsi ad intervenire nel sud della Libia. L’Algeria non ha ancora ufficialmente risposto, ma la presenza del capo di stato maggiore francese, il generale Pierre de Villiers, nel paese per l’intero weekend, può essere letta in forma programmatica.

Un altro fronte rispetto a quello siro-iracheno, sul quale hanno forte interesse sia l’Algeria, da anni ingarbugliata nel terrorismo islamico, sia gli Stati Uniti – insieme ai francesi, ormai diventati i primi alleati americani, forse anche perché Hollande vuole affogare nella politica estera i dispiaceri per le faide interne al partito e per le vicende legate alla sua vita privata, che hanno prodotto il baratro nei consensi.

Il colosso del Nord Africa, fieramente indipendente dalla Francia (che preserva comunque un certa influenza Françafrique) e sopravvissuto a una rivolta islamista all’inizio degli anni Novanta, adesso gioca i più stretti legami con gli Stati Uniti, proprio sul contenimento della minaccia jihadista nelle aeree del Maghreb e del Sahel. Luoghi in cui opera la filiale qaedista Aqim (che ha annunciato in questi giorni sostegno all’IS per gli attacchi americani in Iraq, sulla linea di una posizione presa tempo fa) e vari gruppi di minore rilevanza ma simile violenza, insieme a terroristi predoni e contrabbandieri come Mokhtar Belmokhtar – un uomo che con le sue attività è andato “oltre il jihadismo”.

La presidenza di Abdelaziz Bouteflika – figura discutibile, presidente dal 1999, rieletto in aprile per il quarto mandato consecutivo dopo adeguate modifiche costituzionali – ha segnato il lento processo di apertura agli Stati Uniti e all’Occidente (esempi sono i trattati di amicizia con la Spagna, 2002, e con la Francia, 2003).

Processo aiutato anche da attività di lobbying e relazioni tra i banchi di Washington.

Negli ultimi sette anni Algeri ha pagato lo studio legale specializzato Foley & Hoag 35 mila dollari al mese, per “promuovere il ruolo di pace e cooperazione negli affari mondiali e regionali dell’Algeria” – a far da leva nei rapporti, oltre alla possibilità di sfruttare il territorio algerino come appoggio nella lotta al terrorismo islamico nella regione nordafricana, ci sono anche le abbondanti ricchezze di petrolio e gas di cui il paese dispone.

Mentore del dialogo bilaterale tra i due paesi, è probabilmente Hillary Clinton: nel 2012, quando era ancora segretario di Stato, visitò il paese due volte, focalizzando gli incontri su tematiche strategiche di sicurezza e di scambi commerciali ed economici – e sulla possibilità di offrire aiuti per l’istruzione. L’anno successivo, l’attacco alla centrale di gas di Amenas – anche in quel caso c’era di mezzo Belmokhtar – segnò il punto di svolta nei rapporti: Clinton sottolineò la necessità di ampliare la collaborazione anti-terrorismo e il Dipartimento di Stato firmò un accordo per la vendita di sistemi radar – facendo uscire l’Algeria dall’orbita russa, storicamente fornitrice delle apparecchiature militari.

L’accordo è stato confermato dal successore di Clinton, John Kerry, che durante una visita in aprile ha sottolineato l’importanza strategica del paese nella lotta al radicalismo islamico nell’area e la necessità che le forze di sicurezza algerina ricevano tecnologie e formazione americane.

Ma, come sempre è, restano visioni differenti al Congresso, e nel caso dell’Algeria anche questioni legali. Una legge firmata nel 2000 e successivamente rinnovata, il Victims of Trafficking and Violence Protection Act (TVPA), vieterebbe agli Stati Uniti di intavolare ogni genere di relazione non-umanitaria con paesi sospettati della tratta di esseri umani secondo una classificazione redatta dal Dipartimento di Stato: l’Algeria non solo è in fondo alla lista (“Tier 3”), ma è considerata anche una di quei paesi che non sta facendo niente per migliorare le proprie condizioni sociali.

La TVPA è spesso chiamata in ballo da chi critica Obama per aver aperto le relazioni con Algeri – critiche rinnovate dal 2013 in poi, dopo la dubbia gestione da parte dei servizi di sicurezza algerini della vicenda di Amenas, dove sono rimasti uccisi una ventina di occidentali, tra cui tre civili americani. Obama però, è sempre riuscito a scavalcare la normativa, tirando in ballo questioni di “interesse nazionale” – e dunque di ordine superiore, come nel caso del bilancio 2015, nel quale sono già stati inseriti 2.6 milioni in aiuti, la maggior parte messi sull’assistenza militare.

Molte delle attività di lobbying algerine in questi anni, sono state orientate all’ottenere l’appoggio dei legislatori alla creazione del Congressional Algeria Caucus, visto anche in controbilanciamento a quello marocchino già esistente – l’America ha simpatizzato sempre verso il Marocco sulle questioni che hanno riguardato i due paesi, come per esempio la controversia territoriale nel Sahara Occidentale con il Fronte Polisario.

Il caucus è nato il 30 luglio ed è co-presieduto dalla democratica Betty McCollum e dal repubblicano Joe Pitts (rappresentati rispettivamente dal Minnesota e dalla Pennysilvania), che presiedono anche il caucus del Western Sahara.

L’ambasciatore a Washington Abdallah Baali dichiarò nell’occasione inaugurale, che il caucus sarebbe stato «una pietra miliare nel consolidare le relazioni tra Algeria e Stati Uniti», un successo circondato comunque dai dubbi che restano a Capitol Hill (e tra la popolazione), soprattutto legati alla controverse presenza (storica) ad Algeri di frange dell’universo islamista arrivate vicine ai luoghi del potere.

@danemblog

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