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Vi spiego perché la Libia chiede aiuto all’Italia. Parla il ministro Al-Marghani

Non sarà un intervento militare come quello del 2011 a stabilizzare la Libia, ma un “processo politico” che porti al “disarmo dei gruppi armati” e allo “smantellamento dell’arsenale lasciato nel Paese dall’Occidente”.
È questo quel che Tripoli chiede all’Onu e in particolar modo dell’Italia, ha spiegato a Roma il ministro della Giustizia libico uscente, Salah Bashir al-Marghani, che ha annunciato che probabilmente non sarà nel prossimo esecutivo guidato dal premier Abdullah al-Thinni, la cui formazione è attesa nei prossimi giorni.

L’esponente politico è stato l’ospite d’onore presso l’Associazione stampa estera di un incontro moderato da Paolo Messa, e a cui hanno preso parte anche il deputato Pd e membro della commissione Affari esteri Khalid Chaouki e il presidente dell’Ara Pacis Initiative, Nicoletta Gaida.

Ministro, come stabilizzare la Libia? E perché è importante?

Non con un intervento militare come in passato. È un Paese dilaniato dalla guerra tra milizie, ma una Libia stabile e democratica è nell’interesse di tutti per la sua posizione nel Mediterraneo. Per centrare questo obiettivo, anche attraverso l’uso delle sanzioni, abbiamo bisogno del supporto dei nostri amici, dell’Onu e soprattutto dell’Italia, un Paese con il quale abbiamo un rapporto storico.

Uno dei problemi più sentiti dall’Italia, attiva nel Mediterraneo con la missione Mare Nostrum, è quello dell’immigrazione.

La Libia, pur se semplice punto di transito, non è in grado al momento di controllare autonomamente i flussi dalle sue coste a causa della guerra che ha reso di fatto ingovernabili le due principali città, Tripoli e Bengasi. Per questo è necessario ogni tipo di aiuto positivo.

Il Paese è in mano alle milizie, armate fino ai denti. Come fare per riportare la situazione alla normalità senza ulteriore spargimento di sangue?

L’unico modo per arrivare al potere è attraverso un processo democratico. Un dialogo è possibile, non con l’Esercito nazionale libico dell’ex generale Khalifa Haftar perché la Libia ha già un esercito, ma con i leader di fazioni che hanno obiettivi politici e che non sono contrari allo Stato come lo è Ansar al-Sharia. La condizione essenziale è che si dica chiaramente che le risorse nazionali come il petrolio devono rimanere nel Paese e che saranno puniti tutti i crimini di guerra, specialmente quelli sulle donne.

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