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Ecco come cambierà il Regno che resta Unito

Il Regno resta unito. La paura a Londra è svanita dopo i primi exit poll. Gli inglesi sono andati a letto un po’ più sollevati rispetto a quando si erano alzati. Poi, nella tarda notte, la sconfitta dei secessionisti è stata confermata dai dati reali. La bufera è passata, ma ha lasciato segni evidenti.

Se gli unionisti cantano vittoria, gli indipendentisti sanno che da oggi il rapporto con il governo di Sua Maestà Britannica deve necessariamente cambiare. Insomma, se, come abbiamo sempre immaginato, il “distacco” aveva sì ragioni emotive, razionalmente si alimentava di pretese che gli scozzesi non avrebbero mai potuto ottenere trattando, come hanno fatto, per decenni.

Dovevano usare le maniere forti. Ed ora Cameron e chi gli succederà a Downing Street dovrà onorare la cambiale che Alex Salmond metterà immediatamente all’incasso: maggiori poteri alla Scozia sempre meno integrata nel Regno Unito, ampliamento della devoluzione, riconoscimento di istanze economiche che impoveriranno il Paese e consentiranno allo “Stato” riottoso delle Highland di condizionare più o meno tutte le scelte strategiche che si affolleranno sul tavolo della politica britannica, a cominciare da quelle concernenti l’energia.

Naturalmente l’insuccesso degli indipendentisti non verrà valutato come tale alla luce dei risultati ottenuti da chi ha promosso il referendum: le parole di Salmond sono state eloquenti al riguardo e naturalmente contrastano con le interpretazioni che ne danno gli unionisti, soprattutto nella capitale.

Questi ultimo, comunque, potranno godere dello scampato pericolo e la monarchia gloriarsi di aver mantenuto integro un regno che rischiava di scaldarsi dopo 307 anni. L’anima di Maria Stuarda, insomma, riposi in pace e quella di Elisabetta I che la ridusse all’impotenza venga esaltata nella memoria di tutti coloro che nell’unità britannica hanno visto il fondamento di una potenza che negli ultimi tre secoli ha dispiegato il proprio ruolo con grande successo anche se la storia le ha sottratto l’Impero, ma non l’influenza su quei domini dei quali la Gran Bretagna (a differenza di altri Paesi, a cominciare dall’Italia) non si mai vergognata e mai si è pertanto sentita in dovere di chiedere scusa ai popoli sottomessi e non sempre dignitosamente governati.

Alla Scozia, ovviamente, l’Inghilterra non ha mai riservato un trattamento “coloniale”. Era e resta uno dei tasselli della Corona anche se lo spirito del popolo è per sua natura ribelle ed ogni tanto deve farsi sentire. Nell’ultima occasione, quando il traguardo sembrava alla portata, la ragione ha prevalso sul sentimento e la maggioranza, per quanto esigua, degli scozzesi ha compreso che di uno staterello, sia pure abbastanza ricco e prospero, non avrebbero saputo che farsene nel quadro di un ordine mondiale che tende alle grandi aggregazioni non tanto per convinzione, quanto per necessità.

Gli scozzesi che hanno scongiurato la separazione sono stati molto più saggi e avveduti dei conservatori, dei laburisti, dei liberal-democratici che hanno compreso la portata della posta in gioco soltanto nelle ultime settimane ed hanno, di conseguenza, cercato di correre ai ripari nell’unico modo dato ai demagoghi quando s’improvvisano statisti: promettendo perfino l’impossibile che adesso, a meno di non scatenare risentimenti difficilmente controllabili, sono costretti a mantenere.

Si può dire che gli indipendentisti hanno, comunque, vinto parzialmente e devono accontentarsi (anche l’Unione europea dovrà prendere atto). Ma il movimento che hanno innescato in tutta Europa difficilmente si arresterà di fronte all’esito parzialmente insoddisfacente della consultazione. Sullo sfondo della disgregazione continentale e degli Stati nazionali non c’è soltanto la Catalogna…

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