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Perché voglio svegliare (anzi reinventare) il centrodestra

L’evento che si terrà il 18 ottobre a Milano si propone di svegliare il centrodestra. Anche se, più che di svegliarlo, si tratta di reinventarlo, di gettare nuove basi. Ed è proprio questo il motivo per cui partecipo direttamente: la centralità data alle idee, finanche all’aspetto ideologico.

Si dice sempre che siamo nell’epoca post-ideologica. Tutto ciò che ha il prefisso “post” davanti mi rende nervoso. Non si può pensare di fondare un qualsiasi orizzonte politico se non a partire da idee poderose. E le grandi idee sono sempre, sempre, di parte! Non si può dire nulla di sensato, non si può creare nulla di veramente forte se non si gettano delle basi ideologiche potenti. Se non si risponde alle solite ma inevitabili domande: Chi siamo? Cosa vogliamo? Dove andiamo? Se si risponde a queste domande politiche, ideologiche (!), le policies, cioè le tecniche di governo attraverso cui queste idee si fanno pratica quotidiana, verranno da sé. Non si può, in modo credibile, porsi come novità, come orizzonte di innovazione partendo dalle policies, bisogna prima creare il motivo che ci muove a quelle azioni, inventare il motore che ci spinge a fare o a non fare.

L’evento di Milano si pone come primo passo verso questo obiettivo: un ripensamento dell’orizzonte ideologico in cui si iscrive il centrodestra italiano e, perché no, europeo. Ecco perché partecipo. Le idee, intese non come sognante orizzonte utopico ma come concetti concreti, come manuali per l’azione attorno a cui raccogliersi e creare comunità, sono oggi uno dei pochi orizzonti reali attorno a cui costruire gruppi organizzati. Io ho scritto un libro, Mover. Odissea contemporanea, in cui provo a descrivere la condizione degli uomini e delle donne che si trovano a vivere questo tempo presente che è meravigliosamente veloce, mutevole, indeterminato, incerto e che fanno di tutto questo panorama di cambiamento costante, di dissoluzione e creazione continua la loro casa.

Le idee diventano allora il falò su cui bruciare i resti del passato e attorno a cui raccogliersi per ricreare nuove comunità che continuamente si generano e si disfano in base al nostro interesse momentaneo. E quando alcuni se ne vanno, perché muta il loro interesse e la loro prospettiva, altri arrivano a ripopolare il gruppo. E quando non arriva più nessuno, beh, allora è il momento di chiudere la baracca e di ricominciare da qualche altra parte se si ha ancora il coraggio, la volontà e le idee per farlo. In questo mutamento costante, in questa fertile provvisorietà, si trova la nuova casa.

E in questo tipo di orizzonte il centrodestra dovrebbe ripartire da un singolo aspetto da cui far derivare tutto il resto: l’individuo. In fin dei conti non resta altro. La crisi cronica che viviamo da quasi un decennio non è una crisi economica. L’economia è il fenomeno e la catena di trasmissione attraverso cui si propaga. Ma quello che viviamo è un cambio di paradigma, una rivoluzione epocale nel modo di pensare il mondo e la sua divisione. La crisi è storica, sistemica, sociale, persino antropologica. Il mondo in cui i nostri padri hanno prosperato, in cui l’Europa ha prosperato e ha costruito un sistema in cui il 7% della popolazione mondiale (cioè quella europea) produce il 25% del Pil mondiale e usufruisce del 50% del welfare complessivo, questo mondo è finito.

Il disorientamento è già qui, ormai da anni. I provvedimenti dei governi sono quanto mai insufficienti perché è la funzione stessa del governo così come lo conosciamo e dello Stato come lo abbiamo conosciuto negli ultimi secoli che non può più reggere alla pressione mostruosa del cambiamento in atto. Cerchiamo di riparare con una chiave inglese da 3kg un iPad Air.
Come in tutti i momenti di grande incertezza si invoca un’autorità che sia in grado di rassicurarci, di darci una buona pacca sulla spalla e dirci che va tutto bene. Allora si invoca più Stato, ci si scaglia contro capri espiatori che vanno dalla finanza “mondialista” ai poteri più occulti passando per un po’ di massoneria. Ma invocare più Stato è come chiedere una pala per fare più profonda la buca in cui siamo caduti.

Un centrodestra nuovo dovrebbe pensare a un governo che riesca ad avere molto più potere decisionale non per essere in grado di intervenire maggiormente ma per essere in grado di autolimitarsi quando non di autoeliminarsi. Ma per fare questo serve capacità di azione esecutiva, cosa che manca totalmente. Solo chi è forte riesce a limitarsi, a frenarsi, a spogliarsi del proprio stesso potere. Ridare potere ai cittadini non significa farli partecipare di più al processo democratico o aumentare il loro senso civico: queste sono cialtronerie!
Ridare potere ai cittadini significa renderli liberi di potere sbagliare come meglio credono. Di aumentare la loro responsabilità individuale, di rendere indisponibile lo scaricabarile semplicemente perché non c’è più nessuno su cui scaricare. Significa porre ciascun individuo di fronte a se stesso e da lì riprendere la marcia. Ma questo è impossibile con uno Stato ipertrofico (e allo stesso tempo debolissimo) che invade ogni campo dell’agire e che, per riaffermare la propria autorità, legifera costantemente su ogni aspetto particolare della nostra condotta quotidiana.

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