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Rieccola, è tornata la sinistra Fornero

Chi si rivede! Elsa Maria Fornero è tornata a farsi sentire, leggere e vedere per recuperare il gradimento della Cgil, dalla quale fu indicata all’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani, e da questi a Mario Monti, come ministro del Lavoro nel governo “tecnico” chiamato nell’autunno del 2011 ad affrontare l’emergenza finanziaria esplosa mentre era a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi.

Non bastarono le lacrime clamorosamente mostrate nella conferenza stampa di presentazione delle prime misure del governo Monti, fra il fastidio dello stesso Monti, a placare la delusione della Cgil e, di riflesso, del Pd per gli interventi troppo drastici della Fornero sulle pensioni. Drastici e anche pasticciati, per via dei calcoli sbagliati, o non controllati a dovere, sui famosi esodati, lasciati improvvisamente senza lavoro e senza pensione.

La Cgil allora diretta da Guglielmo Epifani, come quella poi guidata da Susanna Camusso, non scusarono giustamente la “professoressa” torinese. E tornarono a battagliare con lei, costringendola a una sostanziale retromarcia, quando intervenne anche sul famoso articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, quello sui licenziamenti. Che fu alla fine modificato aumentando semplicemente il potere discrezionale dei magistrati nelle vertenze per fine lavoro. E Dio solo sa quale uso fanno certe toghe della loro discrezionalità, sino ad obbligare il panettiere a tenersi in servizio il dipendente che gli ha fottuto la moglie.

Ora la Fornero, prima scrivendo sul Corriere della Sera e poi parlando davanti alle telecamere di Rai 3, si è avventurata in una curiosa contestazione delle modifiche finalmente più serie all’articolo 18 messe in cantiere dal governo Renzi per cercare di togliere remore a nuove assunzioni, visti i rischi che corrono le imprese a farne pur in una situazione di crisi. Per la Fornero questo intervento sarebbe eccessivo, anzi inutile, imposto come un trofeo elettorale dal partito di Angelino Alfano. Che evidentemente non saprebbe come giustificare diversamente la sua partecipazione al governo agli occhi di un elettorato di centrodestra ancora attratto dalla leadership, virtuale o reale che sia, di Berlusconi.

In attesa, forse, dei ringraziamenti della Camusso, ma anche di Landini, Damiani, Epifani, D’Alema e compagnia bella, quella della sinistra cavernicola o “ideologizzata”, come preferisce definirla Renzi, la Fornero ha esteso la sua offensiva di stampo massimalista alla Corte Costituzionale. Alla quale non perdona di avere bocciato il contributo di solidarietà sulle pensioni sopra i 90 mila euro, e perciò bollate come “d’oro”, che era stato messo nell’estate del 2011 da Berlusconi e confermato in misura leggermente superiore dal governo Monti.

Quelle pensioni, secondo la Fornero, meriterebbero il disprezzo generale per essere “sicuramente” superiori ai contributi versati dai titolari, grazie al metodo retributivo del loro calcolo. Nessuna parola, della Fornero ed altri, per le pensioni ancora più numerose, ma d’importo inferiore, generosamente accordate e percepite dopo meno di vent’anni di lavoro e di contribuzione. Quelle, definite “baby”, interessano un bacino elettorale troppo vasto per essere toccate dalla sinistra.

Visto che la vice segretaria del Pd Debora Serracchiani a Rai 3 ha lasciato sparlare la Fornero su questo campo senza contrapporle alcun argomento, qualcuno dovrebbe decidersi a informare l’ex ministro del Lavoro che il verdetto della Corte Costituzionale a lei così sgradito è già stato disatteso. Il governo di Enrico Letta, su intimazione peraltro di Matteo Renzi appena arrivato alla segreteria del Pd, rifiutò alla fine dell’anno scorso il saggio consiglio del capo dello Stato di togliere dalla legge di stabilità, ex Finanziaria, il ripristino di quel contributo di solidarietà. Che peraltro, con il ricorso a nuovi scaglioni, è stato adottato e applicato in misura complessivamente e sostanzialmente doppia rispetto a quello bocciato sei mesi prima dai giudici della Consulta. Uno scandalo a cielo aperto anche per la pretese di nascondere sotto il tappeto della solidarietà, di per sé volontaria, una tassa discriminatrice, che rende il pensionato più tassato di un dipendente o altro contribuente a parità di reddito.

La Fornero continua evidentemente a pasticciare con numeri e argomenti di alta e pericolosa tensione sociale, preferendo la demagogia al realismo e alla misura. E’ una tecnica, in verità, più politica dei peggiori politici della vecchia sinistra.

Francesco Damato

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