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Tutte le diatribe vacanziere tra Renzi e i magistrati

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo l’editoriale di Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza

L’Associazione nazionale magistrati, Anm, se non vuol ridursi a essere una Cgil qualunque (quest’ultima, peraltro, non osa, non dico chiedere, ma nemmeno pensare a 45 giorni di ferie per i suoi rappresentati) deve dedicarsi alla difesa di principi alti, e non contrabbandare battaglie che, anche simbolicamente, non solo sono di bassa bottega, ma sono anche in netto contrasto con lo spirito dei tempi che spira (e ha già agito) in chiave inevitabilmente efficientistica, su tutte le altre categorie alto dirigenziali e alto libero professionali italiane.

Moltissimi magistrati, come tutti gli alti dirigenti, pubblici e privati, osservano degli orari di lavoro che vanno ben oltre quelli contrattuali. Tutti inoltre si portano spesso il lavoro a casa. Ma tutti i dirigenti privati, quando entrano ed escono dal lavoro, passano il loro badge nei passaggi di controllo. Lo fanno perché si deve. E lo fanno anche perché tutti sono tenuti a farlo. E non si sentono assolutamente menomati da questa procedura anche perché, all’occasione, una volta interpellato il computer, si potrebbe facilmente accertare che essi sono stati in ufficio più di quanto non fosse previsto dal contratto.

Una battaglia di questo tipo, su questo specifico argomento, fa quindi sorgere il dubbio che una parte (minima, certo, ma che di solito, in tutte le categorie, sa ben orientare, a suo vantaggio, le richieste dei sindacati di categoria) ha interesse a evitare l’eccessivo impegno professionale e soprattutto che questo possa venire accertato. Che solo la categoria dei magistrati sia l’unica categoria dirigenziale pubblica che fruisce di 45 giorni di ferie dovrebbe già indurre a lasciar perdere questa battaglia che non ha evidentemente ragione di essere. In un momento in cui moltissimi dirigenti privati perdono facilmente il posto di lavoro (e faticano trovarne un altro), pensare che una categoria pubblica si uniformi, come ferie, alle categorie a essa simili, mi sembra una cosa ovvia e, tra l’altro, anche condivisa dai molti magistrati di valore che ho la fortuna di conoscere.

Siccome difendere i 45 giorni di ferie di cui solo i magistrati dispongono è un’operazione dialettico-rivendicativa difficile da sostenere, l’Anm si è inerpicata sugli specchi, confondendo il numero di giorni di ferie sui quali può contare ogni singolo magistrato con il periodo di chiusura estiva dei palazzi di giustizia. Fra i due fatti invece non c’è assolutamente una relazione di causa ed effetto, se non dando per scontato che l’intero periodo di ferie debba essere goduto nel mese d’agosto (o giù di lì) e preferibilmente in un’unica soluzione, come capitava nei tempi in cui il dirigente andava a casa a mangiare e poi, affaticato dalla digestione, si concedeva anche una bella pennichella ristoratrice. Abitudine questa che, se venisse invocata oggi, desterebbe ilarità o stupore.

Anche a proposito delle ferie in un’unica soluzione agostana, occorre rifarsi a qualsiasi altra organizzazione produttiva (anche la più nobile, come, ad esempio, le non meno importanti e indifferibili sale operatorie o i pronto soccorsi ospedalieri). In questi ultimi casi infatti, gli addetti, che pure fanno le ferie che loro spettano, si organizzano per farle in modo tale da tenere sempre attivo il servizio. E quando c’è da interrompere le ferie per impreviste necessità di servizio, qualsiasi primario ospedaliero, tanto per fare un caso categoriale fra le decine che si potrebbero ricordare (pur essendo anch’egli un dirigente pubblico e pur esercitando anch’egli funzioni complesse e molto delicate), le interrompe senz’alcuna difficoltà, ben sapendo che deve mettere sempre in conto questa evenienza. Un dirigente, pubblico o privato che esso sia, ha funzioni più alte, ma non deve pretendere, sicuramente, privilegi più alti.

Per giustificare i 45 giorni di ferie, l’Anm, nella sua foga rivendicativa, ha finito per scoprire degli altri altarini che nessuno aveva invocato. Come il lavoro a casa per i molti magistrati. Ma qual è il dirigente che lavora a casa? A casa, con il telelavoro, lavorano, mi si scusi il termine, solo gli sfigati. Cioè quei dipendenti di basso rango, che sono addetti a lavori ripetitivi, controllabili a distanza. Ma chi svolge una funzione intellettuale e dirigenziale ha un assoluto bisogno (almeno psicologico) di lavorare fra i suoi colleghi, in un ambiente intellettualmente stimolante, giusto per non assopirsi e per non finire per ripiegarsi su se stesso.

Di fronte a questa obiezione, l’Anm replica dicendo che, specie in Cassazione, non ci sono nemmeno uffici sufficienti per ospitare tutti i magistrati. Beh, questo sì che è un argomento rivendicativo da imporre: ogni magistrato deve avere il suo ufficio. Che non deve certo essere una piazza d’armi, come oggi ne godono certuni, ma deve avere, per dare un’idea, lo stesso numero di metri quadrati di cui usufruiscono, ad esempio, i dirigenti dell’Unicredit nella nuova sede del grattacielo di CityLife a Milano, predisposto ergonomicamente poco tempo fa e sul quale nessuno, dei dirigenti, ha mai avuto da ridire. Il paese deve svecchiarsi. La magistratura, che è una grande risorsa per il paese, ha il diritto di essere organizzata come una professione nobile ma anche moderna. L’Ottocento è finito da tempo. Per tutti. Noi compresi.

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