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Alibaba, ecco i rischi dell’Ipo cinese dopo l’entusiasmo di Wall Street

Alibaba ha mantenuto le sue promesse e bruciato ogni record al suo esordio a Wall Street, protagonista, come atteso, dell’Ipo più importante della storia della New York Stock Exchange.

Nei primi minuti di contrattazione, le azioni passavano di mano a 98 dollari, con un +36%  rispetto ai 68 dollari del prezzo di collocamento. Nel primo minuto di contrattazione sono stati scambiati 55,28 milioni di titoli, nei primi dieci minuti ne sono stati scambiati 100 milioni.

Le azioni sono partite subito a 92,7 dollari e hanno chiuso a 93,89 dollari, con un rialzo alla fine del 38%. Il colosso cinese del commercio elettronico ha così raccolto la cifra record di 21,8 miliardi, raggiungendo una capitalizzazione di 231 miliardi, superiore a quella ottenuta da Facebook, eBay e Amazon: ora Alibaba è la 17ma più grande azienda quotata del mondo.

UN SUCCESSO ANNUNCIATO

Il successo della quotazione suggerisce che Jack Ma, fondatore e presidente esecutivo di Alibaba (qui il ritratto), è riuscito a convincere i suoi investitori che l’Ipo potrà dar loro accesso all’appetibile mercato dei consumi e della Internet economy cinese e ad alleviare i timori sulla governance dell’azienda o sulle possibili ingerenze del governo.

“Non è una sorpresa per me, Alibaba che apre a 92,70 dollari con 48 milioni di titoli scambiati: numeri che fanno sparire quelli messi a segno da Twitter nella sua Ipo. E probabilmente Alibaba arriverà a 100 dollari”, commenta Mark Otto, Partner e Designated Market Maker di J. Streicher & Co.

JACK MA: UN BUSINESSMAN RISPETTATO

“Ho pensato a come rendere felici gli azionisti”, ha detto Jack Ma in un’intervista alla Cnbc. E poi: “Quello che abbiamo ottenuto oggi non sono i soldi, ma la fiducia del pubblico”. Ora la quota di Ma in Alibaba, il 7,8%, vale più di 18 miliardi di dollari. Yahoo ha venduto, come già accordato, buona parte della sua partecipazione, ma mantenuto comunque una posizione che vale 37,7 miliardi, mentre la quota della giapponese SoftBank vale quasi 75 miliardi.

Jack Ma si era presentato sul floor del New York Stock Exchange ad attendere l’inizio delle contrattazioni insieme a otto dipendenti. “Il mio eroe è Forrest Gump“, ha detto. Ma, che ora ha in programma una serie di incontri con 20 amministratori delegati di grandi aziende americane, da General Electric a BlackRock, e poi con alcuni investitori durante un pranzo al ristorante Cipriani. La prossima settimana si terranno invece gli incontri “politici”, con la partecipazione alla “Clinton Global Initiative” organizzata da Hillary e Bill Clinton.

Con la quotazione “Alibaba sarà fonte di ispirazione per molti in Cina”, ha detto ancora Ma, “Alibaba sta creando un ecosistema per aiutare le piccole e medie imprese. Ed effettuiamo acquisizioni che aiutano l’ecosistema”. ”Anni fa ho chiesto a mia moglie se voleva un uomo ricco o un businessman rispettato”, ha continuato. “Ovviamente mi ha detto che voleva un businessman rispettato, perché non credeva che sarei mai diventato ricco”.

L’INTERSEZIONE VINCENTE DI ALIBABA

Secondo quanto si legge nei documenti presentati alla Sec, Alibaba ha realizzato utili per 1,99 miliardi di dollari nel trimestre terminato il 30 giugno, quasi il triplo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre il fatturato trimestrale è cresciuto del 46% a 2,54 miliardi di dollari. Sulla sua piattaforma l’anno scorso sono state scambiate merci per 250 miliardi, più di Amazon e eBay messi insieme: del resto, in Cina Alibaba controlla più dell’80% di tutte le vendite online.

“Alibaba è l’intersezione di due trend molto importanti: il primo è il potere di Internet e il secondo è la crescita dell’economia cinese”, commenta Nicholas Colas, chief market strategist di ConvergEx Group. “Le aziende in grado di sfruttare questa intersezione hanno prospettive di crescita molto più grandi della media delle altre aziende”. Le azioni di Alibaba potrebbero guadagnare ancora il 20% subito dopo l’Ipo, secondo Chris Beauchamp, Market Strategist di IG Group.

LE OMBRE SUL BOOM

Ma accanto a tanti entusiasmi qualche investitore tira il freno: ci sono potenziali rischi nell’operazione Alibaba. La struttura della proprietà non è del tutto chiara e ci sono problemi regolatori, di qualità dei prodotti e di proprietà intellettuale che alla lunga potrebbero ostacolare la corsa di Alibaba. Per esempio, la sua piattaforma di e-commerce Taobao, dove le imprese possono vendere direttamente ai consumatori, è piena di prodotti difettosi o contraffatti: il brand Columbia ha trovato che su Taobao l’82% dei prodotti col suo marchio erano falsi e ha ritirato 3.000 articoli in un mese.

Nel roadshow con gli investitori, la domanda sui tanti prodotti contraffatti sul suo sito è stata una delle più rivolte a Jack Ma. Un’altra questione sul tavolo è stata quella di Alipay, la sussidiaria dei pagamenti (più del 78% delle vendite di Alibaba passa per questo servizio): Jack Ma ha separato Alipay da Alibaba e la definisce nel prospetto della Sec una “related company”, di cui Alibaba non possiede nulla, ma che Ma di fatto controlla, perché ha il 46% della sua parent company Small and Micro Financial Services Company (SMFSC). Il miliardario businessman ha però detto che ridurrà questa quota ora che Alibaba si è quotata, mentre Alipay si dovrebbe a sua volta quotare, separatamente, in Cina.

Ciò non chiarisce del tutto la natura di Alipay né la struttura di Alibaba. Perciò qualche analista ritiene che investire nel colosso cinese potrebbe essere una mossa incauta. Il problema è la corporate governance, la struttura della proprietà di Alibaba e delle eventuali controllate, che la società MSCI ha definito “worst in class”. Per il modo in cui è organizzata la proprietà, infatti, Ma e pochi altri azionisti, pur se possiedono solo il 13% di Alibaba, ne hanno l’effettivo controllo e così sarà anche se decidessero di vendere le loro azioni. Alibaba, infatti, ha una struttura societaria basata sulla “partnership” e secondo le leggi di Pechino gli investitori stranieri non possono controllare direttamente asset strategici del Paese. Chi acquista azioni Alibaba, dunque, non acquista una piccola quota della società, ma le azioni di un’entità registrata alle Cayman che per contratto riceve profitti da Alibaba e dai suoi asset ma che non li controlla.

A ciò si aggiunga che Alibaba non prevede dividendi. “Riteniamo che questa Ipo sia adatta per investitori disposti ad assumersi un rischio”, affermano gli analisti di Morningstar.

Il senatore americano Bob Casey si è addirittura rivolto al regolatore di Borsa perché protegga gli investitori americani di fronte alle Ipo cinesi, con una nota emessa alla vigilia della quotazione di Alibaba: “Raramente nella storia si è tenuta un’Ipo di queste dimensioni con un’azienda di cui sappiamo così poco. Sono preoccupato dalla scarsa trasparenza di queste aziende cinesi che si quotano sui nostri mercati. La Sec deve intervenire e vigilare esigendo che tali aziende forniscano più informazioni”.

VERSO UN DOMINIO CINESE NELLA TECNOLOGIA?

L’Ipo di Alibaba è stata letta da alcuni come un possibile primo segnale della fine del predominio statunitense nel settore tecnologico, come indicato dal professore Qing Wang della Warwick Business School britannica: “Il tasso di crescita annuale di Alibaba supera il 30% e questo dimostra che il divario tra le aziende cinesi come Alibaba e Tencent e quella americane si sta chiudendo”, afferma.

I commentatori americani, però, non vedono pericoli imminenti: nonostante in Cina non manchino talento e capitali, siti pieni di prodotti falsi e di dubbia qualità, un mercato chiuso che rende difficile alle aziende locali competere globalmente, tasse ed embargo che possono essere imposti dal governo in qualunque momento e in modo improvviso fanno sì che quel divario resti ancora ampio.

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