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Tre interrogativi sulla Libia senza bussola

Pubblichiamo un articolo dell’Aspen Institute

La crisi libica (meno seguita all’estero rispetto a quelle ucraina e iracheno-siriana), presenta in queste ore preoccupanti incognite sul futuro e solleva al contempo scomodi interrogativi sul passato.

La Libia è di fatto oggi un paese senza governo, senza ministeri, senza esercito regolare o forze di sicurezza. Il suo vasto territorio è controllato da miliziani che si riconoscono in due principali schieramenti antagonisti i cui nomi ci dicono poco o nulla e che intessono alleanze assai precarie e mutevoli con vari altri gruppi locali. In ogni caso, con tutti questi attori libici le diplomazie occidentali hanno rapporti formali inesistenti.

Insomma, il paese che Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti (sotto la formale egida della NATO), hanno liberato da Muammar Gheddafi con sette mesi di decisivo intervento militare a supporto degli insorti, oggi è destabilizzato al tal punto che sia l’Iraq sconvolto dalla minaccia dell’ISIS o la tristemente nota Somalia appaiono entità meno incerte. Peraltro, proprio questa particolare forma di “cambio di regime” non potrà mai far collocare la “rivoluzione libica” nel quadro delle cosiddette primavere arabe.

Tre fondamentali interrogativi restano ad oggi senza neppure una mezza risposta possibile. Chi prenderà la guida del paese (ammesso che esso possa restare unito non solo sulla carta)? Per farne cosa? E con quali rapporti con l’Occidente? Vediamo tuttavia di enunciare alcuni fattori utili a orientarsi nel caos attuale.

Quando la rivolta ebbe inizio nel 2011, le diplomazie occidentali e i grandi organismi internazionali (ONU, UNESCO) ritirarono i propri rappresentanti, mentre venivano schierati sul campo agenti dei servizi e advisor militari per guidare gli insorti di Bengasi. Il progetto era quello di tornare a conflitto concluso e dittatore rimosso per inaugurare il nuovo corso della Libia, finalmente alleato strategico ed affidabile tra Mediterraneo ed Europa.

Oggi, al contrario, il paese è una pericolosissima terra di nessuno dove miliziani, mercenari, agenti segreti e uomini d’affari si muovono dedicandosi a progetti che durano lo spazio di un giorno, di un agguato, di un do ut des disperato e senza prospettiva. Il silenzio della diplomazia che conta, impotente di fronte all’implosione delle giovani e fragili istituzioni libiche, rivela dunque il fallimento di un’ingerenza iniziata nel 2011.

A scontrarsi sul terreno sono da una parte le forze laiche del generale dissidente Khalifa Haftar e i suoi alleati di Zintan, dall’altra le milizie di Misurata, confluite nella principale alleanza islamica nota col nome di Fajr Libya (Alba della Libia).

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