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Ecco come Al-Qaeda si è adattata all’ascesa dell’Isis

Bisogna dar atto alla vecchia al-Qaeda di sapersi, come sempre, adattare alle circostanze e far buon viso a cattivo gioco. Il suo leader Aiman al-Zawahiri, subentrato al comando dopo la morte di Osama bin Laden, aveva in passato usato parole molto dure nei confronti del movimento jihadista del Levante, Dawlat al-Islamiyya fi Iraq wa-l-Sham (Lo Stato islamico in Iraq e nel Levante – ISIL) e del suo leader, l’autoproclamato califfo al-Baghdadi. Di fatto, al-Qaeda aveva sconfessato ISIL e la sua strategia, favorendo l’altra grande formazione operante in Siria, Jabhat al-Nusra, che appariva di più ortodossa osservanza qa’idista.

Ma le vittorie clamorose di ISIL di questa estate in Iraq hanno mutato la situazione: ISIL è rapidamente salita all’attenzione internazionale, divenendo l’organizzazione più popolare fra le decine di migliaia di aspiranti combattenti volontari del jihad (i mujaheddin). Al-Baghadi ha saputo adottare una strategia vincente non solo sul terreno, nei combattimenti, ma soprattutto a livello mediatico e di rapporti con le popolazioni locali. ISIL ha sapientemente calibrato aiuto e violenza: da un lato ha cercato di proporsi, nelle zone conquistate, come una forza stabilizzante (distribuendo cibo e aiuti, combattendo gli abusi e la corruzione, organizzando una propria polizia religiosa), dall’altro ha usato magnificamente il terrore come arma militare e d’immagine.

Forte del sostegno di ex ufficiali iracheni e siriani – che hanno permesso un salto di qualità nelle tattiche in battaglia – ISIL ha deciso di istillare l’orrore nel cuore dei propri nemici con l’adozione di metodi estremamente crudeli sia contro le minoranze religiose, gli sciiti e gli occidentali, sia contro i soldati e le loro famiglie, provocando il crollo delle forze armate regolari di Baghdad nell’Iraq centrale.
Ma soprattutto al-Baghdadi si è dimostrato abilissimo nell’uso dei filmati, in particolare quelli diretti contro le opinioni pubbliche occidentali, che hanno amplificato le gesta del movimento e fatto di ISIL la “Premium Brand” per il mercato jihadista, attraendo finanziamenti e un flusso sempre maggiore di volontari. Di fatto, ha oscurato tutte le altre formazioni jihadiste e messo in ombra la stessa al-Qaeda.

La reazione occidentale contro ISIL e la formazione di una vasta, per quanto improbabile, alleanza (che include le monarchie del Golfo, ossia le maggiori responsabili della follia settaria che devasta il Medio Oriente) ha così offerto ad al-Qaeda la possibilità di rientrare in gioco, offrendo a ISIL il proprio sostegno e la propria alleanza, nonostante le differenze ideologiche e strategiche e l’oggettiva rivalità di “brand”. Da questo punto di vista, al solito, i movimenti jihadisti dimostrano una flessibilità e una adattabilità ai mutati scenari che noi non abbiamo. La comunità internazionale, una volta di più, si è dimostrata lenta (con l’ONU inspiegabilmente silente e distratto) e farragginosa.

A lungo abbiamo finto di non vedere che la nostra politica in Siria fomentava l’estremismo violento sunnita, e che gli obiettivi veri dei nostri “alleati”, come Arabia Saudita, Qatar e Turchia, erano ben diversi da quelli di “combattere il tiranno al-Asad” e abbattere il regime di Damasco. Per le monarchie arabe del Golfo, in particolare, l’obiettivo reale era spezzare a ogni costo l’asse sciita fra l’odiata repubblica islamica dell’Iran, il nuovo Iraq, la Siria ed Hezbollah. Per raggiungere questo obiettivo non hanno esitato a sostenere i movimenti salafiti più radicali e settari, gli stessi che minacciano le minoranze in tutto il Medio Oriente (in particolare quelle cristiane) e sono contigui al jihadismo. Ancora oggi, quando sono ormai chiare le loro responsabilità nella diffusione di questa violenza settaria che lacera la regione, Riad ha posto il veto all’inclusione dell’Iran nella coalizione anti-jihadista, nonostante Teheran sia da anni in prima linea contro questi movimenti e stia stata fondamentale per evitare il collasso del governo di Baghdad e il Curdi.

Solo in questi giorni, l’Amministrazione Obama ammette l’importanza di coinvolgere Teheran, suscitando le piccate reazioni di molti membri del Congresso USA (da sempre dominato dai falchi anti-iraniani). Negli scorsi anni, alla NATO si diceva (scherzando ma non troppo) che “l’ufficio stampa dei Taliban era migliore di quello dell’Alleanza Atlantica”, per sottolineare le capacità dei nostri avversari in Afghanistan di “bucare lo schermo”. Ora scopriamo che i “pubblicitari” jihadisti sono ancora più efficienti e i loro leader più pragmatici dei nostri.

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