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Le lobby (opache) d’Ungheria

Parliamo spesso – e giustamente – dell’opportunità e dei rischi di regolare l’attività lobbistica in Italia. Altrettanto spesso, ci invitiamo vicendevolmente a guardare i casi stranieri, che generalmente citiamo come esempi virtuosi.

Questo binomio virtuoso (loro)-vizioso (noi) vale soprattutto per il confronto tra Italia e democrazie di matrice anglosassone. Perde di spessore quando mettiamo l’Italia a confronto con i propri vicini europei. Qui la situazione si fa molto più complessa e, in genere, molto meno virtuosa.

Parliamo dell’Ungheria, ad esempio. Il problema dell’opacità delle lobby – ma si potrebbe dire dell’intero sistema politico – ha radici recenti. Nasce nel 1989, subito dopo la transizione dal regime socialista, verso un regime politicamente più variegato. é in questi sistema di confine, scarsamente regolamentato e attento più alla segretezza del dato pubblico rispetto alla sua divulgabilità, che sono cresciute le attuali oligarchie politiche. Per crescere, e finanziarsi, il sistema ha dovuto fare della segretezza dei rapporti tra politica ed economia un requisito essenziale.

E difatti oggi in Ungheria non è disponibile praticamente alcuna informazione (di rilievo, almeno) sui finanziamenti che la politica riceve dai privati. Esistono iniziative private che monitorano e riportano i casi più eclatanti, ma le risorse con cui operano sono limitate e al massimo possono aprire uno spiraglio su una realtà sconosciuta al grande pubblico. Una tra queste iniziative è K-Monitor (QUI). Un’altra iniziativa è promossa dal capitolato locale di Transparency International e si chiama Kepmutatas (QUI).

Gli analisti politici ci dicono che le cause del sistema attuale, non solo opaco, ma a tratti apertamente anti-democratico (nel senso che respinge le istanze di partecipazione promosse dai cittadini comuni) dipendono per gran parte dal lavoro di Fidesz, oggi primo partito, che ha agito mosso dalla necessità di recuperare il terreno sui socialisti, tornati a vincere nel 2008 e nel 2010.

Come spiega bene la SunLight Foundation (QUI) il partito di Orban non ha oggi alcuna intenzione di migliorare, né dal punto di vista della trasparenza istituzionale, né da quello della partecipazione delle istanze provenienti dalla società civile. Perché dovrebbe? L’opposizione alla disclosure ha consentito di riorganizzare le finanze del partito in tempi brevi e di contenere in modo sostanzialmente indolore le pressioni degli attivisti. Un paradiso, o un inferno, a seconda di come vogliate vederla, per i lobbisti. Una situazione dalla quale avremmo comunque da imparare. Non nel senso di prendere l’esempio su come intervenire per disciplinare la materia. Ma un ottimo esempio per capire quanto sia rischioso non intervenire.

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