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Raffaele Bonanni, i molti meriti e un obiettivo mancato

Raffaele Bonanni ha deciso, all’improvviso, di passare la mano senza che sul suo mandato incombesse un vincolo statutario e, soprattutto, lo ha fatto in un momento di grande difficoltà per il Paese e per il sindacato. Ovviamente credo che, alla base di tale scelta, vi siano solo motivi più che trasparenti. Bonanni ha capito che la fase è cambiata e non si sente adatto, forse neppure interessato, a svolgere un ruolo da protagonista in quella nuova, dominata da regole, valori, principi che non gli appartengono e non si sente di condividere.

Per questi motivi si è soliti dire che non esistono uomini per tutte le stagioni. E’ una considerazione questa che può essere letta in modo biunivoco, sia nel senso di dover promuovere il necessario ricambio, ma anche con riferimento al fatto che ci sono stagioni in cui per alcune persone non vale la pena di impegnarsi politicamente.

Chi non ricorda la parole del principe di Lampedusa, l’aristocratico siciliano che sente arrivare, inarrestabili, i nuovi tempi, ma non è disposto a farsi coinvolgere? “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra”. Così per Raffaele Bonanni è venuto il momento di recitare la giaculatoria delle persone perbene: “Ho combattuto la buona battaglia. Ho terminato la mia corsa. Ho conservato la fede”.

Nella genealogia dei segretari della Cisl negli ultimi decenni, Bonanni potrebbe essere paragonato ad un altro sindacalista abruzzese come lui: Franco Marini. Ambedue personalità molto pratiche, di buon senso e concrete, estranee alle introspezioni teoriche e alla ricerca culturale che fecero grande un leader come Pierre Carniti. Eppure la sorte ha voluto trasformare Bonanni nell’erede di Carniti almeno per un aspetto. La Cisl di Carniti sconfisse la Cgil e il Pci in campo aperto, nel 1984 prima, nel referendum del 1985, poi, sulla questione della scala mobile. La Cisl di Bonanni è stata capace di vincere anche nei posti di lavoro nelle vertenze per tanti versi emblematiche del gruppo Fiat. Carniti ebbe un sodalizio forte con Bettino Craxi. Bonanni lo ha avuto con Maurizio Sacconi quando era ministro del Lavoro. Un rapporto, questo, iniziato prima, tanto che nel 2002 fu Bonanni ad incoraggiare Sacconi (allora sottosegretario di Maroni) a tentare una modesta revisione dell’articolo 18.

L’operazione non riuscì, per le note vicende, ma anche perché Savino Pezzotta – allora segretario generale della Cisl – si sentì scavalcato. Il sodalizio tra Sacconi e Bonanni, dopo aver prodotto molte novità nel campo del lavoro, non ha retto nella sfida più importante e significativa: l’utilizzo in chiave derogatoria dell’articolo 8 della legge n.148/2011, una norma che avrebbe potuto rappresentare la vera svolta a favore della contrattazione di prossimità. Al dunque, la Cisl si schierò con le altre parti sociali, impegnandosi a non dare corso all’attuazione di quella norma.

Si dice che a sostituire il segretario dovrebbe essere Annamaria Furlan, la quale, oltre al dato significativo di essere una donna che arriva al vertice di una grande organizzazione, è in grado di far valere una lunga esperienza sindacale. Per ragioni che, a suo tempo, non abbiamo compreso, Raffaele Bonanni ha preferito questa alla soluzione naturale rappresentata da Giorgio Santini, dirottato nel 2013 controvoglia in politica.

In ogni caso, non si può parlare di ricambio generazionale: il fratello maggiore viene sostituito dalla sorella minore. Ma tutto rimane in famiglia. Lo stesso avviene anche nella Uil dove Luigi Angeletti dovrebbe passare la mano a Carmelo Barbagallo ora segretario generale aggiunto. In sé il ricambio generazionale non è sempre un bene (vediamo ciò che sta avvenendo in politica). Rimane tuttavia un’esigenza fisiologica, non solo per le comunità ma anche per le grandi organizzazioni. In Cisl, se ne parlerà in un’altra occasione.

Concludendo Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti portano con sé, in pensione o altrove vorranno svolgere la loro attività, una grave responsabilità storica: non aver proceduto – quando è diventato certo che di unità sindacale organica, non si parlerà mai più – ad unificare almeno le loro due organizzazioni.

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