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Zingales, Münchau e l’Europa di figli e figliastri

Wolfgang Münchau del Financial Times ha una bella penna e da sempre argomenta che l’euro, così com’è, non può funzionare e, tanto meno, può aiutare l’Italia a uscire dai suoi problemi.

Con Luigi Zingales e altri siamo costretti a riferirci a lui e ai pochi che sostengono queste tesi dato che in Italia, pur ricevendo attestati di stima, non ci fanno crescere di statura intellettuale e considerazione internazionale per difendere l’Italia come ci piacerebbe. Non ci impediscono comunque di esporre idee come quelle di Münchau, ma le seppelliscono in un mare di chiacchiere contro.

Poiché non tutti leggono il Financial Times riferisco telegraficamente le tesi di Münchau: è assai improbabile che l’Italia ritorni sul sentiero della crescita e quindi il rapporto debito pubblico/Pil raggiungerà il 150% e, non avendo strumenti di politica monetaria e fiscale per reagire perché non ha una sua banca centrale e non può agire con la politica fiscale per la sua volontà di rispettarne le regole; potrebbe quindi trascinare l’intera Costruzione europea in una crisi irreversibile se l’UE non interviene e deve farlo per suo stesso interesse.

Luigi Zingales è una bella mente, oltre che una bella penna. Le due cose non procedono sempre insieme. In un suo recente blog ha risposto alle critiche d’aver cambiato idea avanzando riflessioni simili a quelle di Münchau. Dopo averle lette con soddisfazione, ho risposto immediatamente nel suo stesso blog (cosa che non faccio mai) e gli ho dato il benvenuto nel lazzaretto in cui vengono confinati coloro che sostengono i difetti delle istituzioni europee, le quali, invece di creare crescita e occupazione, come prevedono i trattati, stanno affondando i paesi, come l’Italia, che non si sono adattati alle nuove regole del capitalismo globale (che non mi sono per nulla simpatiche, ma questo è un altro problema).

Al suo ripensamento ho avanzato l’obiezione che la sua posizione doveva essere espressa prima e non ora che le cose sono precipitate. Nel suo scritto Zingales afferma, citando Keynes, che ha cambiato idea perché le cose sono cambiate. Io non sono d’accordo. Gli sbocchi negativi sono la risultante della governance europea sbagliata: res ipsa loquitur. Ho subito segnalato il fatto ai miei maestri Guido Carli e Francesco Cossiga nella mia memoria “L’Europa dai piedi di argilla”. Carli e Carlo Azeglio Ciampi convinsero Cossiga che l’Italia ce l’avrebbe fatta nonostante i difetti della propria architettura e di quella sovrapposta europea.

Zingales non ha cambiato idea perché le cose sono cambiate, ma perché le sue speranze di un’Europa diversa non si sono realizzate: aveva sperato, come molti ancora sperano, in un cambiamento della politica di bilancio europea e non aveva tenuto conto del grave ritardo con cui si è mossa la politica monetaria. La posizione ufficiale è quella che lui condanna: sottoporre le politiche di rilancio della crescita alla realizzazione delle riforme, che richiedono cambiamenti degli equilibri politici molto lenti, e accettare l’idea tedesca che chi ha sbagliato paga, qualsiasi cosa accada in termini di disoccupazione.

In breve un’Europa di figli e figliastri. Da tempo mi rimbalza il ricordo di ciò che disse Jean Monnet: “Nous ne coalisions pas des Etats, nous unissons des hommes”. Non ci vengano a dire che il Trattato di Maastricht e seguenti perseguono questo intento!

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