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Marchionne e Della Valle, che cosa cela lo scontro stucchevole

In epistemologia, si chiama affidabilismo il ruolo che riveste la fiducia nel processo
della conoscenza. Per credere che un’affermazione sia vera, devo fidarmi: non solo
del mio giudizio, ma anche di quello di un altro che considero autorevole.

Ora, se un capitano d’industria inizia a dire di un altro capitano d’industria che no, di
lui non c’è da fidarsi, prima o poi comincerò ad avere dei dubbi. In questo senso,
l’offensiva mediatica di Diego Della Valle contro Sergio Marchionne (quella contro
Renzi è una foglia di fico) è un gioco vecchio come il cucco. Ecco allora l’immagine
del Marchionne anti-italiano e anti-operaio, con la mente a Via Rasella e il cuore a
Detroit.

È però un gioco futile, che rischia di trasformare il confronto delle idee in una lite tra
comari nel cortile del capitalismo domestico. L’amministratore delegato della FCA
ha sicuramente un carattere spigoloso e forse sopravvaluta il suo intuito strategico.
Ma non gli si può certo imputare una rottura che ha investito tutti gli ordinamenti
contrattuali, europei e anglosassoni.

Dopo la recessione scoppiata nel 2008, clausole derogatorie sono state
sperimentate quasi ovunque, e generale è stato un più marcato decentramento
delle relazioni industriali. Fenomeni che chiamano in causa le forme del
coinvolgimento dei lavoratori nella gestione degli accordi aziendali.

Una questione cruciale nella realtà nordeuropea, che spiega perché lì la prassi
delle deroghe al contratto nazionale non provochi le guerre di religione che si
combattono in Italia. La verità è che, per ragioni storico-politiche, da noi il tema
della democrazia economica non ha mai avuto piena cittadinanza, nonostante sia
richiamata nella Costituzione.

Non è certamente richiamato nella Carta l’articolo 18, invece. E dispiace che anche
Gianni Cuperlo, un dirigente del Pd che stimo, si sia accodato alla vulgata secondo
cui esso è un diritto costituzionale. Purtroppo è solo una tutela sociale, e – come
ogni tutela sociale – è sempre frutto di un negoziato, espressione dei rapporti di
forza che emergono conflittualmente nella società.

Del resto, chi sostiene che la disciplina del licenziamento individuale con reintegra
non è una tutela ma un diritto universale, dovrebbe avere almeno il coraggio della
coerenza, e chiederne l’estensione alle imprese con meno di 15 dipendenti. Fausto
Bertinotti qualche anno fa la chiese, e sappiamo come andò a finire la cosa.

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