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Unicredit, Intesa, Mps, ecco il peso delle fondazioni bancarie

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il peso considerevole delle partecipazioni bancarie nel patrimonio delle fondazioni è pericoloso, oltre che per le fondazioni stesse (concentrazione dei rischi) anche per la stabilità del sistema bancario italiano. Questo è uno degli aspetti più interessanti messi in evidenza dal recente documento del Fondo monetario internazionale, dedicato alla Governance delle banche italiane.

Il lavoro dell’FMI descrive il ruolo ancora assai rilevante delle fondazioni nel governo delle banche italiane, non ostante i diversi tentativi effettuati dal legislatore per cercare di sciogliere i legami tra fondazioni e banche, allo scopo di consentire una allocazione del credito ispirata a criteri di merito e efficienza, invece che dal patronage del sistema politico, di cui le fondazioni sono ancora l’espressione.

L’influenza dei politici nelle fondazioni stesse resta considerevole; nelle sei più grandi, circa il 47 per cento dei componenti del consiglio di amministrazione viene indicato dalle autorità politiche locali. La presenza dei politici negli organi di governo delle fondazioni non sarebbe tanto preoccupante se queste non continuassero a mantenere un forte controllo sulle banche conferitarie. A parte la clamorosa situazione della banca Monte Paschi di Siena sfociata nella crisi del 2012 a cui si è faticosamente posto rimedio con ingenti risorse pubbliche, ancora oggi nelle due principali banche del nostro paese, le fondazioni – pur minoranza – eleggono la maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione tramite patti di sindacato: in Unicredito, quattro fondazioni con un pacchetto di azioni che pesa per il 9 percento eleggono l’84 per cento dei consiglieri; in Intesa-San Paolo, cinque fondazioni, che possiedono il 25 percento delle azioni, eleggono l’81 per cento del consiglio.

Tale influenza sarebbe meno preoccupante se i bilanci delle banche in cui è rilevante il peso delle fondazioni fossero di qualità migliore. Purtroppo non é così. Lo studio dell’FMI evidenzia, infatti, che gli attivi delle banche in cui sono presenti le fondazioni sono di minore qualità rispetto alla media. Inoltre, cosa ancora più preoccupante dal punto di vista del sistema Italia, le simulazioni di situazioni di crisi – i così detti stress test – evidenziano che le banche in cui è rilevante la presenza delle fondazioni sono meno solide delle restanti banche.

Forse nel programma dei mille giorni del Governo, sarebbe opportuno una radicale riforma del settore sulla falsariga delle proposte avanzate, sia dal Governatore della Banca d’Italia nella recente relazione annuale, sia dall’Antitrust nella segnalazione per la Legge annuale sulla concorrenza, del luglio scorso.

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