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L’insaziabile fame d’oro della Cina

Come nei tempi lontani, quando l’Asia tesaurizzava metallo prezioso, anche oggi fiumi d’oro si spostano da Ovest a Est, e in particolare in Cina, incuneandosi in sotterranei canali di trasmissione che sfuggono agli occhi assai curiosi degli osservatori internazionali, resi attenti dal silenzio, davvero d’oro, nel quale le autorità cinesi avvolgono la loro strategia di accumulazione di riserve e la gestione di tali flussi, che vengono destinati a investimento, a usi industriali e di gioielleria.

Sappiamo però alcune cose. Sappiamo, ad esempio, che già da alcuni anni la Cina è diventato il primo produttore d’oro nel mondo, la produzione stimata è di circa 400 tonnellate l’anno, surclassando il Sudafrica.

Sappiamo poi che la borsa dell’oro di Shangai sta rapidamente scalando posizioni nella classifica della piazze finanziarie che trattano l’oro, proprio dietro il Comex e il London bullion market e che dovrebbe consentire, come ha scritto Bloomberg, il commercio di lingotti nella sua zona di libero scambio al fine, evidente, di diventare un hub regionale delle contrattazioni in oro che, giova notarlo, verranno denominate in yuan.

La free zone avrà una capacità di stoccaggio di 1.500 tonnellate d’oro che potranno essere importate in Cina o essere destinate ad altri mercati. La mossa, dicono gli analisti dovrebbe servire a rianimare un mercato che, dopo il boom del 2013, adesso sta tirando il fiato. Ma a nessuno sfugge l’importanza strategica di una nuova piazza finanziaria gold-based nei mercati asiatici. E i numeri dello Shangai gold exchange, in costante crescita anche se ancora bassi rispetto ai concorrenti, che peraltro dovrebbe avviare anche dei contratti derivati basati sull’oro, che poi sono quelli che fanno la fortuna dei mercati angloamericani.

Sappiamo inoltre che la fame d’oro della Cina è destinata a crescere. L’ultimo rapporto del World gold council, che risale all’aprile scorso, fotografa con chiarezza che la domanda d’oro da parte dei cinesi è destinata ad aumentare nel futuro, come d’altronde succede ininterrottamente da almeno un ventennio, e in particolare negli ultimi dieci.

Se tralasciamo la domanda per gioielleria, industria o investimento, che pure è significativa, atteso che la popolazione aumenta e il peso della classe media che vuole investire in oro e compra gioielli pure, vale la pena concentrarci su quella del settore ufficiale, ossia delle riserve a fini monetari.

Il rapporto del World gold council riporta la stima delle riserve in oro delle autorità monetaria cinesi che risale al 2009, ossia l’ultima volta che la banca centrale ha rilasciato i dati, e che il Fondo monetario ha classificato nelle sue statistiche. Si tratta di 1.054 tonnellate che, teoricamente, non sono aumentate dal 2009, anche se nessuno ci crede e tutti attendono con comprensibile curiosità che la Banca centrale Cinese si decida a rivelare lo stato dell’arte, circostanza che secondo alcuni osservatori potrebbe verificarsi nel 2015, atteso che l’aggiornamento del 2009 è arrivato dopo quello del 2002.

A proposito. Vale la pena rilevare che le riserve auree cinesi a fini monetari sono cresciute notevolmente negli ultimi trent’anni in valori assoluti anche se sono diminuite notevolmente in percentuale a causa dell’esplosione di quelle valutarie. Nel 1980 erano appena 395 tonnellate, pari a quasi il 9% delle riserve arrivando fino al 14-18% dei primi anni ’90. Poi il calo relativo è iniziato ed è proseguito fino al 2001, quando sono iniziati gli acquisti massici, probabimente per bilanciare l’altrettanto massiccia accumulazione di riserve valutarie in dollari. Nel 2002 erano già arrivate a 600 tonnellate. Poi silenzio fino al 2009, quando si arriva alle 1054 che conosciamo adesso, che però pesano poco più dell’1% delle riserve, pur se collocano la Cina al sesto posto nella classifica mondiale di chi detiene oro ai fini di riserva dopo Usa, Germania, FMI, Italia e Francia.

Se si considera il cospicuo incremento delle riserve che si è verificato nei paesi emergenti durante la Grande Crisi, è ragionevole immaginare che sia cresciuta notevolmente anche la componente aurea di quelle cinesi, solo che fino a quando le autorità cinesi non si decideranno a rivelare i dati, si possono solo fare speculazioni. Alcuni, ad esempio, pensano che ormai le riserve auree abbiano superato le 4.000 tonnellate. E se così fosse sarebbe altrettanto ragionevole chiedersi a cosa preluda una tale redistribuzione strategica dell’oro fra le banche centrali di mezzo mondo.

Il World Council nota che l’accumulazione di riserve auree cinesi sia un semplice espediente per innalzare la quota d’oro nelle riserve, ancora molto bassa, l’1,1% ai prezzi di mercato del 2013, rispetto alla montagna di dollari custodita nei forzieri cinesi. Ma anche se fosse solo una questione di diversificazione di asset sarebbe saggio non ignorarla. Accumulare oro invece che dollari non implica di per sé una preferenza?

Rimane il fatto, come nota il WGC, che “il peso della Cina nel sistema monetario internazionale è cresciuto sostanzialmente e aumenterà ancor di più quando lo yuan diventerà più internazionale“. In passato, ricorda ancora, gli attivi di conto corrente cinesi venivano investiti in debito pubblico americano, tuttavia negli anni recenti le politiche fiscali e monetarie degli americani hanno messo a dura prova “la pazienza dei grandi creditori”.

“C’è una scuola di pensiero in Cina – osserva – secondo la quale l’America sta deliberatamente scaricando sulle spalle di altri paesi il costo dell’aggiustamento per mantenere la sua egemonia strategica”. Secondo costoro la Cina dovrebbe diversificare le sue riserve, o magari impiegarle per sviluppare il consumo interno, cambiando perciò l’attuale modello di sviluppo basato su export e investimenti, che ha finito con l’accendere una tremenda ipoteca sui crediti cinesi, rappresentata dall’essere emessi dal più grande debitore del mondo.

Il dilemma di cosa fare delle enormi riserve accumulate è un pensiero non da poco della autorità cinesi, che non possono semplicemente liberarsi dei dollari per non pregiudicare i propri crediti, anche perché, reazioni americane a parte, non saprebbero dove indirizzare le risorse una volta liberate, atteso che le valute di riserva sono poche o non capienti abbastanza da sopportare i larghi afflussi che ne deriverebbero. Senza consideare che una vendita massiccia di asset denomnati in dollari deprimerebbe in maniera sostanziale la parte delle riserve residue in valuta americana. Detto in altre parole, i cinesi sono intrappolati nella loro stessa ricchezza. E l’unico modo per uscire dalla trappola del dollaro è quella di immaginare un nuovo sistema monetario dove l’oro non potrebbe che giocare un ruolo.

Al tempo stesso le autorità cinesi potrebbero incoraggiare il possesso privato di oro per indirizzare la ricchezza dei cinesi verso l’oro piuttosto che verso asset denominati in valuta estera. Tale accumulazione potrebbe risultare utile, come lo è stato in Corea del Sud quando ci fu la crisi delle tigri asiatiche e l’oro dei cittadini fu mobilitato per “salvare la patria”. Oltre al fatto che tesaurizzare oro aiuta a frenare le spinte inflazionistiche importate dall’estero. Al momento le stime calcolano in almeno 2.000 tonnellate l’oro accumulato dal settore privato cinese.

Tutto ciò spiega perché molti analisti si siano convinti che il futuro del sistema monetario tornerà a passare da un generale rebalancing dell’oro custodito nelle riserve, pure in un’ottica di sistema valutario multi-laterale, che tornerà ad essere protagonista. Certo, servirà tempo. Il futuro del sistema monetario passa per la convertibilità dello yuan, ormai auspicato da tante banche centrali, e da una decisiva riforma del Fondo monetario internazionale, che però gli americani ancora (e non a caso) avversano.

La sensazione, tuttavia, è che questa sorta di redde rationem verrà posticipato finché sarà possibile. Il mondo guarda alla vicenda economica americana ed europea cercando di capire se l’azione della Fed e adesso anche della Bce basterà a far ripartire il meccanismo inceppato della crescita. E solo se l’azione delle banche centrali non basterà si passerà all’azione.

E non sarà uno spettacolo edificante.

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