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Vi racconto il sapore della libertà a Hong Kong. Parla Marco Perduca

Da cinque giorni a Hong Kong è esplosa una rivolta difficile da interpretare per chi non conosce le dinamiche asiatiche o non ha mai messo piedi in quel territorio. Sulle grandi testate spunta una grande quantità di analisi. Si sa che a Hong Kong sono in piazza a protestare giovani e meno giovani: vogliono meno ingerenza da parte del governo di Pechino ed elezioni libere nel 2017.

La battaglia non è semplice anche se, soprattutto gli studenti, si sentono forti del successo ottenuto l’anno scorso: il blocco della riforma dell’istruzione che il governo cinese voleva più ideologica e meno autonoma.

Un testimone di quanto sta accadendo è Marco Perduca, rappresentante all’Onu del Partito Radicale, che si trova in questi giorni proprio nella città asiatica. In una conversazione con Formiche.net, Perduca racconta l’aria che si respira a Mong Kok e dintorni.

Turchi, iraniani, venezuelani guardano alle manifestazioni a Hong Kong con ammirazione e un po’ di invidia. Chi è sul posto dice che le proteste sono molto organizzate. È vero che si distribuiscono zaini con tutto quello che serve per proteggersi negli scontri con la polizia? Che succede realmente lì?

Tutto vero, anche a me, quando mi sono avvicinato alle barricate della polizia, è stata subito data una maschera e una mascherina per ripararmi in caso di attacco. Quello che forse non si riesce a comunicare è la genuinità del tutto. Si ha l’impressione di essere a un ritrovo di primi della classe. Tutti puliti, nessuno fuma o beve, tutti concentrati nell’essere efficienti nell’organizzazione e dimostrare che se toccasse a loro governare Hong Kong non ci sarebbero problemi di instabilità o illegalità, anzi!

Molti in Occidente temono una nuova Tienanmen. È possibile?

Le dimensioni della mobilitazione sono simili, forse la politicizzazione è minore, o meglio più “pop”, ma, anche logisticamente, un attacco con migliaia di militari è difficilmente organizzabile. Pechino, almeno per ora, ritiene che tocchi alle autorità dell’isola gestire le manifestazioni. E’ vero che l’edificio accanto al Consiglio legislativo è un grattacielo-caserma, ma, almeno in piazza, ci sono poche centinaia di poliziotti non in tenuta anti-sommossa. Inoltre, le decine di migliaia di manifestanti sono altrettanti hub di informazioni e condivisioni di notizie, un bagno di sangue in mondovisione è l’ultima cosa che Pechino possa auspicare, specie quando nei deserti del medio oriente son i terroristi che si comportano in questo modo.

Secondo il leader Joshua Wong, gli studenti hanno cominciato a partecipare alle proteste e a preoccuparsi dei problemi sociali e politici quando si è provato a imporre un’ideologia comunista al sistema educativo con una legge, che è stata poi bloccata. Quali sono le reali motivazioni delle proteste? È possibile che Hong Kong diventi un’altra città cinese come le altre?

Le manifestazioni non hanno una leadership chiara, e comunque, per quanto entusiasti, dei minorenni non possono tener testa a un regime autoritario para-militare. Sembra che in piazza ci sia una sorta di “terzo stato” cinese, quello che, grazie al modello “uno Stato, due sistemi” ha potuto godere, se non altro, della libertà di stampa, aggregazione e intrapresa. Cancellare tutto ciò non solo non è possibile, ma non conviene a nessuno. La Cina ha cercato di lanciare Shangai come centro finanziario ma l’esperimento non ha funzionato, anche perché non esiste la certezza del diritto che negli affari è una componente fondamentale.

Il cardinale Joseph Zen ha detto in un’intervista che è molto difficile riuscire ad ottenere “elezioni libere” nel 2017, che è quello che chiedono i manifestanti. Cosa può ottenere Hong Kong da queste proteste? Qual è il valore di questa rivolta?

Il valore enorme è che passa la nozione che la libertà senza democrazia alla fine non è possibile. Non basta poter fare i soldi per garantire il progresso di una comunità, occorrono anche le libertà civili e il rispetto dei patti, quei patti che davanti le Nazioni unite la Cina s’era assunta davanti agli abitanti di Hong Kong e il Regno Unito. Posto che mentre scrivo si stanno prendendo le ultime decisioni relativamente alle mosse da fare per alzare il livello del confronto, i manifestanti hanno fatto tutto quello che potevano per far conoscere al mondo che la democrazia può parlare cinese, imporre una dilatazione dei tempi delle decisioni delle prossime settimane e organizzare una nuova serie di iniziative a sostegno dei legislatori democratici che, con il loro voto contrario, possono bloccare questa contro-riforma del sistema elettorale imposta dal Comitato centrale del Partito comunista cinese.

Alcuni manifestanti si sono anche scusati per l’impatto economico delle proteste. Qual è e come può influire nel processo che si vive lì?

La zona occupata è sicuramente centrale, e generalmente i mercati finanziari non amano turbolenze sociali e popolari, in questi giorni era tutto chiuso per la festa nazionale quindi la scomodità di una zona bloccata s’è sentita poco. L’altra notte c’è stato un dibattito pubblico se bloccare la maggiore arteria del traffico lungo la baia, alla fine hanno vinto i contrari. Questo genuino buonsenso è tipico della nonviolenza che vuole convincere, cioè, come dice Marco Pannella, vincere con, non creando inutili disagi a chi è un alleato potenziale.

Cosa pensa può sfuggire a chi guarda a distanza quello che sta accadendo a Hong Kong?

Il sapore della libertà, quella che si conquista lottando notte e giorno.

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