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L’opera buffa del Teatro all’Opera di Roma

Commenro pubblicato oggi su L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

E’ finita come molti temevano che sarebbe finita: tutti licenziati, orchestra e coro del prestigioso, ma litigioso Teatro dell’Opera di Roma. Prima volta che succede in Italia. Centoottantadue dipendenti a casa, uno su quattro, per poter riorganizzare l’istituzione con quei criteri flessibili e produttivi che già valgono in tanti enti d’Europa. Il parastato non è più di moda neanche nello Stato: figurarsi nel mondo libero delle arti. “Passaggio doloroso, ma necessario per far rinascere il teatro”, ha detto Dario Franceschini, che da ministro dei Beni Culturali amerebbe inaugurare e non certo chiudere luoghi e simboli che fanno dell’Italia un Paese unico. Così unico, che a Riccardo Muti, forse il più grande direttore d’orchestra vivente, il mondo fa ponti d’oro per averlo. A Chicago gli hanno rinnovato il contratto fino al 2020. Noi invece l’abbiamo fatto scappare dal teatro della capitale ora in liquidazione. “Non c’era un clima sereno”, aveva spiegato Muti, usando un eufemismo per carità di patria. Polemiche, scioperi minacciati, cartellone in bilico, l’ingovernabilità: da questo era fuggito.

Dunque, a forza di tirare la corda, come ha fatto un gruppo di lavoratori, irriducibile nella sua protesta davanti al mondo che cambia, e al Maestro che rinuncia, la corda si è rotta. In epoca di crisi e nelle ore della riforma del lavoro questa vicenda sembra esemplare: ecco come va a finire, quando si fa prevalere la dura e pura rivendicazione di pochi sull’interesse ragionevole di tutti. L’interesse, per cominciare, dei lavoratori a lavorare: e invece sono stati licenziati. Perché il muro contro muro non paga più. Lavorare oggi significa capire che non c’è diritto senza dovere. Che l’Italia non è penisola isolata e felice nel mondo globale con le sue regole anche nel lavoro. Che ogni generazione deve avere la sua opportunità. A tempo indeterminato c’è soprattutto la speranza di saper cogliere la novità: far bene il proprio lavoro è la migliore garanzia per poterlo continuare a fare sempre. Per poterlo anche cambiare e migliorare. Per impedire abusi e arbitri. E chi, se non il sindacato, ha il compito di incarnare questa rivoluzione dei tanti e diversi lavori per tutti, anziché dell’un solo lavoro per alcuni per tutta la vita, com’era nel passato che passa?

L’amara vicenda dell’Opera insegna: chi va allo scontro con lo sguardo rivolto all’indietro, non porta il sindacato alla vittoria. Porta i lavoratori alla sconfitta. L’interesse di tutti è tornare a dire “musica, Maestro!”.

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