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Saipem, continua lo shopping dei cinesi?

Anche Saipem finirà tra le braccia del Dragone? Il gruppo Eni medita da tempo di valorizzare, ovvero anche dismettere quote, della controllata. Diversi consulenti sono al lavoro, compresa la società dell’ex ad del Cane a sei zampe, Paolo Scaroni. Pechino si è già fatta avanti, come scrive oggi Repubblica in un articolo di Federico Fubini. E qualche analista di banche d’affari consiglia già i vertici del gruppo Eni ora capitanato da Claudio Descalzi di vendere la controllata attiva nella realizzazione di infrastrutture per la ricerca di giacimenti di idrocarburi, la perforazione e la messa in produzione di pozzi petroliferi e la costruzione di oleodotti.

LO STATO DELL’ARTE

L’operazione è nei pensieri della società. La gestione dell’Eni sta provando a rifocalizzarsi sugli idrocarburi, limitando le perdite nella raffinazione (come nel caso di Gela) e dismettendo alcune attività non ritenute core business, tra cui Saipem.

LE MIRE CINESI

L’Italia, da un’inchiesta del Financial Times, è al primo posto nelle mire di espansione della Cina. In particolare Pechino starebbe passando da investimenti nelle economie emergenti a quelle mature e scommetterebbe sull’Europa (in Italia l’Heritage Foundation li ha stimati nel 6,9% del totale regionale). E Saipem, secondo i rumor, potrebbe essere la potenziale preda del prossimo shopping cinese, ha sottolineato oggi Affari&Finanza, inserto economico del quotidiano Repubblica.

LA VALUTAZIONE DI EQUITA

La sim Equita mantiene il rating hold e il target price a 20 euro sul titolo Saipem – scrive Milano Finanza – in quanto la recente pressione sul prezzo del petrolio potrebbe spingere le compagnie petrolifere ad abbassare e/o ritardare i piani d’investimento sul 2015, mettendo a rischio le stime 2015/2016 su Saipem. Senza contare che l’azione tratta a un multiplo prezzo/utile 2015-2016 di 10 e 9 volte, in linea col settore.

I CONSIGLI DI UBS

Per Ubs l’azione è addirittura cara per cui il broker oggi ha tagliato il rating da neutral a sell e il target price da 21 a 13,5 euro. L’investment case positivo su Saipem – riporta il sito di Milano Finanza – era basato sul potenziale di ripresa degli utili dai minimi del 2013-2014, quando la performance è stata penalizzata da contratti a bassa marginalità. Con gli ultimi contratti di questo tipo in completamento nel 2015 e la forte raccolta ordini 2014, l’outlook dal 2016 aveva iniziato a sembrare più promettente.

Tuttavia – scrive il quotidiano finanziario del gruppo Class Editori – ora gli analisti di Ubs si attendono che il focus sui costi da parte delle compagnie petrolifere porti a un rallentamento della raccolta ordini 2015-2016 e quindi ritengono che gli utili di Saipem non registreranno una crescita significativa nel periodo 2016-2018, in realtà l’eps non crescerà proprio, sarà piatto. Dunque, tira le conclusioni Mf nel titolo, per Ubs Saipem si può vendere. E’ così?

LE OPINIONI DI SAPELLI E VERDA

Per lo storico ed economista Giulio Sapelli – dal 1996 al 2002 nel cda del Cane a sei zampe e dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei – cedere la controllata Saipem è una decisione giusta dal punto di vista della strategia aziendale di lungo periodo, ma affrettata nel breve e medio termine, perché Eni potrebbe ancora avere bisogno della tecnologia di Saipem finché non avrà raggiunto una quota di produzione che la metta sullo stesso piano di disponibilità finanziaria dei suoi competitor. Nel frattempo, per l’esperto, meglio pensare a una ipotesi Cdp Reti, ha sottolineato di recente Sapelli in una conversazione con Formiche.net.
Di tenore simile l’opinione di Matteo Verda, ricercatore dell’Università di Pavia e dell’Ispi (e autore del libro “Una politica a tutto gas” e del blog Sicurezza energetica), secondo il quale “il problema è quello di fare cassa, allora avrebbe più senso cedere una quota di Eni e tenere Saipem attraverso la Cassa Depositi e Prestiti“. A differenza del Cane a sei zampe, focalizzato sul piano estrattivo in giro per il mondo, “Saipem ha in dote un bagaglio di competenze e tecnologie su cui forse avrebbe più senso immaginare una politica industriale“.

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