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Luigi Zingales cambia verso sull’euro

Cambia verso. Anche lui, Luigi Zingales professore di Finanza alla University of Chicago Booth School of Business, economista turbo liberista, non ce l’ha più così tanto con la spendacciona Italia, ma ammette che l’Europa, così com’è, non può andare.

Lo fa innanzitutto in un libro in cui argomenta abbondantemente le sue nuove tesi. Il titolo è emblematico: “Europa o no. Sogno da realizzare o incubo da cui uscire”. “Luigi Zingales – è stato scritto qui – biasima la mancanza nel nostro paese di un ragionamento serio sui costi e i benefici dell’adesione alla valuta comune. E “all’idea prevalente di una UE centralistica e totalizzante” contrappone “una comunità di nazioni indipendenti fondata su un euro diverso. O meglio, su un euro del Nord e uno del Sud”.

RIPOSIZIONAMENTO ANTI-EURO?
Un dolce stil-novo per riposizionarsi là dove cambia il vento? Forse, ma la nuova teoria è comunque interessante e Zingales non ne è l’unico sostenitore.
“È come quando Ulisse si fa legare all’albero per non cadere vittima del canto ammaliatore delle sirene – avevamo scritto ancora qui – se poi la sua nave fosse finita contro gli scogli, non per le sirene ma per una normale tempesta, non si sarebbe potuto salvare”. L’Italia è legata a un albero, come Ulisse sulla sua nave, senza libertà di movimento in politica economica per arginare gli choc economici e la direzione, con la nuova recessione, sono decisamente gli scogli.

CONTRAPPOSIZIONE NORD-SUD
“Il problema – secondo Zingales – è che man mano che l’avventura di Eurolandia è proseguita, peraltro incrociando una crisi economico-finanziaria senza precedenti, si è creata un’insanabile contrapposizione tra paesi del Sud Europa (tra cui l’Italia) e del Nord Europa, con i primi in posizione di debolezza e i secondi, rappresentati dalla Germania, che sono riusciti sempre di più a prendere in mano le redini e a salire in plancia di comando. Dove naturalmente ora vogliono restare. Una contrapposizione che, per certi aspetti, evidenzia l’economista nel suo libro, ricorda molto quella tra Nord e Sud Italia ai tempi del processo di unificazione di fine ’800. Insomma, il contesto è cambiato a tal punto che anche un economista come Zingales, in passato più critico verso l’Italia e le sue pecche che verso l’area dell’euro nel suo insieme, riconosce che ora qualcosa va cambiato. E che bisogna intervenire per arginare in qualche modo lo strapotere della Germania di Angela Merkel”.

“SI CAMBIA IDEA SE CAMBIA IL MONDO”
Ovviamente le accuse all’economista sono state immediate e anche feroci, ma lui non si è scomposto e sul suo blog ha ricordato che John Maynard Keynes, di fronte ad accuse analoghe, rispondeva: “Quando i fatti cambiano, io cambio opinione. Cosa fa lei?”. Zingales non si ferma alla teoria, ma suggerisce anche una pratica per uscirne. “In una recente intervista al Secolo XIX, il professore di Finanza alla University of Chicago Booth School of Business, da sempre convinto liberista, suggerisce che il premier Matteo Renzi dovrebbe cercare di dare vita a una coalizione tra paesi del Sud Europa, Francia e socialdemocratici per risolvere la questione del lavoro. In sostanza, l’economista propone di creare un sistema federale di sussidi che possa risollevare le economie dei paesi del Sud Europa in modo che poi possano avviare le necessarie riforme. Quelle che non aveva avviato l’Italia di Romano Prodi al momento di entrare nell’euro e quelle che poi non sono state avviate nemmeno dai successivi governi di Silvio Berlusconi”.

COSA SI È INCEPPATO NELLA COSTRUZIONE DELLA UE
Insieme a Luigi Guiso e Paola Sapienza, Zingales, ha condotto anche uno studio che dimostra perché il meccanismo di costruzione dell’Europa si è inceppato rispetto ai dettami originali. Lo riporta Il Foglio. “I tre economisti, prima di incrociare abilmente alcune serie storiche di dati macroeconomici e sondaggi d’opinione effettuati dall’Eurobarometro” dimostrano che “l’eurofilia è cresciuta fino al 1992, salvo poi cominciare a scemare… I passi in avanti compiuti, agli occhi dell’opinione pubblica, sono sembrati troppo lunghi o comunque mal coordinati: a un anno dall’approvazione di Maastricht, crollavano infatti i consensi per il completamento del mercato unico. Anche se reggevano i consensi per una maggiore integrazione politica, soprattutto in quei Paesi in cui si partiva da livelli più alti: “I Paesi con istituzioni relativamente inefficienti sembrano più felici di essere parte dell’Ue”, sperando in una correzione dei propri limiti istituzionali. Anche l’allargamento a est dell’Ue, nel 2004, ha scalfito l’europeismo nei paesi considerati. Livello di disoccupazione e spread tra i propri titoli sovrani e il Bund tedesco sono gli indicatori che meglio predicono la disaffezione dei cittadini: un punto percentuale di disoccupazione in più, secondo i tre economisti, equivale in media a un punto in meno di sostegno alla membership”.
Dopo Maastricht, c’è la crisi del 2009, ulteriore spartiacque del sentiment dei cittadini verso l’Europa unita, ma non nel senso che uno potrebbe immaginare. “Per esempio nei paesi meridionali, Italia inclusa, è cresciuto il numero di quanti sostengono che Bruxelles si muove nella direzione errata, ma è aumentato ancora di più il numero di quanti imputano ai propri governi errori perfino peggiori. Inoltre, in alcuni Paesi, l’immagine della Banca centrale europea (Bce) si è deteriorata molto più di quella della moneta unica, specialmente nell’europeriferia”. Ora tutto possiamo permetterci, meno che restare fermi. Pena il collasso.

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