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Lo sapete che editori e giornalisti invocano aiuti di Stato per le testate di carta?

È giusto che le istituzioni supportino la stampa con l’utilizzo di risorse collettive? Non è preferibile affidare alla concorrenza di mercato lo sviluppo dell’informazione in un’epoca di rivoluzione tecnologica?

L’interrogativo, al centro di un’inchiesta in più puntate di Formiche.net, non ha trovato risposta. La politica fatica a compiere scelte limpide in un terreno cruciale dal punto di vista civile, culturale ed economico.

Abolire un privilegio

Un’eccezione è costituita dalla proposta di legge presentata alla Camera dei deputati dal Movimento Cinque Stelle.

Il testo – a prima firma Giuseppe Brescia – punta a rimuovere i contributi statali ai giornali e l’obbligo di pubblicare sulle testate cartacee avvisi, bandi, concorsi promossi dalle amministrazioni locali.

Un’iniziativa che a giudizio dei parlamentari penta-stellati consentirebbe il risparmio di 80 milioni di euro annui da destinare all’innovazione tecnologica degli organi di informazione e alla promozione delle start-up editoriali.

Una risposta quasi univoca

Ma che il panorama editoriale italiano, in forma quasi unanime, respinge con fermezza come un’aggressione alla libertà e al pluralismo. Rifiutando di considerare le sovvenzioni pubbliche come un privilegio superato dal tempo.

Lo confermano le audizioni realizzate in Commissione Cultura di Montecitorio dei rappresentanti delle principali organizzazioni di categoria.

Né mercato né contributi a pioggia

A partire dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, che per voce del segretario generale Franco Siddi rivendica la validità, in tempo di crisi, di “un intervento indipendente e mirato dello Stato per garantire il pluralismo informativo e la stessa legalità. Perché i fenomeni criminali proliferano in mancanza di quotidiani”.

Nessuna elargizione a pioggia quindi, né “mance per comprare testate e giornalisti”. L’esponente sindacale rimarca l’esigenza di rigore nell’erogazione dei fondi, “rendendo tracciabili i pagamenti per evitare che la furbizia di taluno succhi risorse collettive”.

Ma la strada da intraprendere, precisa, non può essere “mercantilistica”. E non può prevedere la gratuità di tutti i contenuti giornalistici pubblicati in Rete.

Come rafforzare e rendere libera l’informazione

La proposta della Fnsi contempla la creazione di un “fondo speciale per l’editoria” tramite tre provvedimenti: un prelievo a carico delle fondazioni bancarie, un tributo dell’1 per cento sulla pubblicità televisiva, l’introduzione della Web Tax sui profitti dei giganti della Rete.

Per rendere “libera l’attività informativa”, il sindacato prospetta poi l’estensione delle garanzie contrattuali di lavoro dipendente ai 40mila giornalisti che effettivamente svolgono la professione. Poco meno di un terzo rispetto agli oltre 110mila aderenti agli ordini regionali.

La critica dei periodici cattolici 

Grande consonanza con il ragionamento di Siddi emerge nelle parole di Francesco Zanotti, presidente della Federazione Italiana Settimanali Cattolici. Realtà che annovera 189 testate – per un complesso di 500 lavoratori e 250 giornalisti – capaci di vendere 1 milione di copie a settimana lette da oltre 4 milioni di cittadini.

Ricordando come soltanto 70 organi di stampa cattolici ricevano fondi pubblici e che negli ultimi anni i contributi statali all’editoria hanno subito tagli lineari per 80 milioni di euro, il numero uno della Fisc spiega così la propria ostilità al progetto M5S: “Toglierebbe risorse e voce a chi non ha voce, in primo luogo alle periferie. Tanto più in uno scenario di sbilanciamento della pubblicità sui grandi network televisivi rispetto alla carta stampata”.

I vantaggi del finanziamento pubblico

Ai suoi occhi la politica ha il dovere di far vivere voci libere che restano un bene pubblico, non soggetto alle leggi di mercato come un bene commerciale.

Rilevando come le erogazioni statali – ridotte a 1,8 milioni nel dicembre 2013 – abbiano costituito linfa vitale per il ringiovanimento e lo sviluppo tecnologico nelle redazioni delle testate cattoliche, Zanotti riconosce la necessità di supportare le testate presenti in edicola e attive sul territorio. Creando un fondo ad hoc pari a 90-100 milioni di euro: “Un contributo alla “democrazia dell’informazione”.

Le erogazioni statali tutelano la Costituzione

Tesi riprese e approfondite da Domenico Volpi, dirigente dell’Unione stampa periodica italiana. Una galassia di 7-8mila testate medio-piccole in gran parte no profit e radicate nel territorio, tradizionalmente rimaste in ombra nonostante i 128 milioni di ricavi e i 478 milioni di spedizioni nel 2013.

Volpi rivendica il valore del supporto statale “a garanzia dell’Articolo 3 e 21 della Costituzione”. Una tutela del pluralismo, osserva, che permette la competizione degli editori puri nei confronti dei gruppi industriali attivi nel panorama mediatico soprattutto televisivo. Forte della raccolta di oltre il 51 per cento dei profitti pubblicitari.

No alla logica liberista del M5S

Anch’egli concorda sull’esigenza di un’erogazione virtuosa dei contributi pubblici. Ma ritiene che l’abrogazione dei fondi statali all’editoria, “permeata da un’impostazione ideologica liberista”, non rilancerà il settore in crisi, aggraverà i problemi delle testate cartacee già alle prese con la concorrenza aggressiva della Rete, e non promuoverà le start-up nel giornalismo: “Fenomeno peraltro in difficoltà negli Usa”.

La prospettiva indicata dall’Uspi passa per la convocazione di “Stati generali dell’editoria” finalizzati a riformare e regolamentare il sostegno pubblico, integrare produzione tradizionale con canali elettronici, garantire risorse adeguate e certe a testate no profit, cooperative e locali. E a eliminare dal Fondo informazione e editoria della Presidenza del Consiglio i debiti con Poste Italiane e le sovvenzioni a Rai International.

Cifre già ridotte al lumicino

Ribadendo una posizione espressa dal suo presidente Maurizio Costa a favore del sostegno pubblico, il direttore generale della Federazione Italiana Editori Giornali Fabrizio Carotti rifiuta di considerare il panorama informativo nazionale  un comparto assistito. E fornisce alcune cifre al riguardo.

Le testate che beneficiano di elargizioni statali dirette sono 215 su un complesso di 7mila. E sono limitate ai giornali italiani all’estero, delle minoranze linguistiche, delle formazioni politiche e cooperative.

Le risorse – 55 milioni di euro annui razionalizzati e risanati – hanno conosciuto una riduzione radicale negli ultimi tempi grazie a interventi incisivi sul territorio incluso il calo rilevante delle edicole.

Appoggio all’azione del governo

Un’informazione di qualità, evidenzia, deve tener conto delle asimmetrie esistenti tra i vari canali mediatici. A cominciare dagli investimenti pubblicitari.

A suo avviso, anziché tagliare ulteriormente o abrogare i finanziamenti pubblici bisogna traghettare l’intero settore nella modernità. E stabilire certezza nell’attribuzione dei fondi e rimborsi tramite l’utilizzo rigoroso del Fondo straordinario per l’editoria messo a punto dal governo Renzi-Lotti.

Misura fondamentale – rimarca l’esponente Fieg – per stabilizzare il lavoro precario, favorire i pre-pensionamenti, promuovere l’innovazione tecnologica, informatizzare la rete di distribuzione e vendita, tutelare il copyright.

Controcorrente

Unica voce fuori dal coro è quella della presidente dell’Associazione Nazionale Stampa Online Sara Cipriani.

La quale, parlando a nome di un comparto giornalistico che non ha mai ricevuto erogazioni pubbliche pur operando da vent’anni nel mercato delle news, propone incentivi fiscali per chi investe in pubblicità nelle testate on line allo scopo di agevolare la crescita delle redazioni giornalistiche telematiche.

E reputa meritevole di attenzione il progetto legislativo Cinque Stelle: “È corretto vincolare all’effettiva diffusione e radicamento nel territorio gli interventi a favore del rinnovamento del panorama informativo”.

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