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Garanzia Giovani, ecco numeri veri e risultati falsi

Si è conclusa da qualche giorno la conferenza organizzata dall’Unione Europea sulla Garanzia Giovani a Roma. L’ennesima. Il paradosso è che questa volta l’attenzione era concentrata sui risultati.

Il nostro Paese non dispone di un sistema adeguato di monitoraggio e valutazione delle politiche occupazionali. Il caso Garanzia Giovani porta alla luce, quello che abbiamo cercato per anni di tenere sotto il tappeto, la nostra incapacità di orientare e calibrare l’azione regolatoria ai risultati. Eppure la Raccomandazione europea impegna chiaramente gli Stati Membri a monitorare e valutare le misure sottoposte agli schemi relativi alla garanzia per i giovani, affinché si possano elaborare più strategie ed interventi basati su fatti concreti (cfr. considerando 24).

Nel nostro Paese, la portata di questa previsione non è e stata compresa, si è deciso così di “interpretarla” svuotandola di significato. Il monitoraggio sulla Garanzia Giovani, al momento si limita infatti ad un elenco di dati sterili – numero degli iscritti ripartiti per genere, titolo di studio provenienza geografica e numero di colloqui sostenuti – che non consentono nemmeno aggregati nessun tipo di valutazione dei risultati raggiunti. Per questa ragione ADAPT e Repubblica degli stagisti hanno lanciato un sondaggio online rivolto a tutti i giovani under 29 per dare la possibilità ai diretti interessati di esprimere il loro parere sul piano europeo.

Secondo gli ultimi dati pubblicati nel monitoraggio ministeriale del 16.10.2014, sono 250.772 i ragazzi che si sono registrati a Garanzia Giovani su un bacino potenziale dichiarato di 2.254.000 (cfr. del piano nazionale di attuazione, pag. 6). Non esattamente un successo. Ad oggi Garanzia Giovani ha raggiunto solo il 10% dei ragazzi per cui è stata pensata. Di questi, peraltro solo una piccola parte solo 59.197 hanno sostenuto il primo colloquio. Per tutti gli altri, che sono la maggioranza, Garanzia Giovani rimane un’illusione. Peraltro di cosa accada a quei 59.197 ragazzi “presi in carico” dopo il colloquio, non sappiamo nulla. Il colloquio di profilatura rimane, infatti, l’ultimo elemento tracciato dal monitoraggio ministeriale, quando invece dovrebbe costituire la prima fase di un processo che in tempi certi dovrebbe condurre a risultati dati e verificabili nel tempo. In nessuna Regione esiste un sistema capace di misurare e dare conto di quante opportunità sono state offerte, in che settori, con che tempi, con quali tipologie contrattuali, a quali soggetti, seppure in tutti i piani regionali di attuazione sia riportata la medesima dicitura in base alla quale le Regioni si impegnano a definire uno “specifico set di indicatori di tipo qualitativo e quantitativo per la valutazione dell’impatto delle misure sul contrasto al fenomeno NEET (in coerenza con la Raccomandazione europea sulla Youth Guarantee) e sui livelli di inclusione socio-lavorativa dei giovani NEET destinatari delle misure”. Alcune Regioni si stanno attrezzando, ma alla prova dei fatti nessun risultato è disponibile, né sarà disponibile in tempi brevi. C’è da chiedersi che fine faranno quei 6.000.000 di euro stanziati per il 2014-2015 per azioni di rendicontazione, monitoraggio e valutazione (cfr. piano nazionale di attuazione, pag. 25) visto che ormai il 2014 si avvia a concludersi con un nulla di fatto.

La verità è che nel nostro Paese si stenta a comprendere fino in fondo l’importanza di un sistema di monitoraggio e valutazione capace di guidare l’azione regolatoria non solo ex post ma anche ex ante nella definizione stessa di politiche occupazionali coerenti rispetto agli obiettivi.

La Francia ha fatto una scelta diversa, implementando la raccomandazione europea per tappe, iniziando da schemi pilota in alcuni dipartimenti per arrivare “a regime” nel 2016. La sperimentazione è stata avviata nell’ottobre 2013 in tredici aree territoriali selezionate sulla base del tasso di disoccupazione (>25%) coinvolgendo i ragazzi di età compresa tra i 18 e i 25 anni. Il bacino di utenza stimato è pari a circa 10.000 giovani. Il Piano francese prevede un insieme di misure complementari e personalizzate per rispondere alle diverse esigenze e condizioni dei giovani che si traducono in tre azioni: 1) Identificazione del giovane tramite il coinvolgimento di diversi attori: il Centro di Informazione e Orientamento (CIO); i centri per l’impiego (CPI); missions locali (operatori del servizio pubblico per l’impiego dedicati esclusivamente ai giovani e in particolare ai NEET); 2) Accompagnamento al lavoro attraverso la proposizione di percorsi diversificati e personalizzati. (Le missions locali prevedono, ad esempio, due percorsi diversi: le contrat d’insertion dans la vie sociale (CIVIS) e il parrainage.) 3) Inserimento/rienserimento nel mercato del lavoro o della formazione: nel primo caso rientrano diverse soluzioni contrattuali quali: les emplois d’avenir; d’accompagnement dans l’emploi; contrat initiative-emploi; les contrats de génération. Nel secondo caso rientrano invece: i sistemi “deuxième chance”; di alternanza (contratto apprendistato e professionalizzante). La sperimentazione che si concluderà nel 2016 è accompagnata da un sistema di monitoraggio e valutazione affidato ad un gruppo di lavoro guidato dalla DGEFP (Délégation générale à l’emploi et à la formation professionnelle) e dalla Direzione di Coordinamento della valutazione della ricerca e statistica (Direction de l’animation de la recherche de l’évaluation et des statistiques – DARES).

Il sistema di monitoraggio prevede una valutazione quantitativa (numero di giovani raggiunti, servizi offerti risultati raggiunti) ma anche qualitativa. I ragazzi che entrano in contatto con i servizi per il lavoro e accedono al sistema di Garanzia Giovani sono chiamati a compilare un questionario in cui sono invitati ad inserire i loro contatti. E’ previsto che un campione di questi venga ricontattato dal DAREES per una valutazione qualitativa della Garanzia Giovani. Un altro aspetto da citare del piano francese riguarda la definizione di un sistema di incentivi a favore delle aziende che mira a sostenere – non in modo indifferenziato le assunzioni come avviene da noi – ma solo quelle che riguardino i cosiddetti emplois de l’avenir, i lavori del futuro.

Visto con gli occhi di un italiano, il Piano francese appare pioneristico. Ma se lo si confronta con i piani statunitensi per l’occupazione ha ben poco di innovativo. Dalla seconda metà degli anni ‘70 negli States i piani per l’occupazione vengono costruiti sulla base dei risultati di sperimentazioni attuate secondo specifici standard definiti al fine di garantire una “valutazione d’impatto delle misure occupazionali”. Con la National Supported Work Demonstration gli Stati Uniti tra il ’75 e il ’78 hanno valutato attraverso un determinato sistema di azioni e maccanismi l’efficacia di una politica occupazionale diretta all’inserimento nel mercato del lavoro di soggetti svantaggiati (tra cui giovani drop out). Si è trattato di uno dei primi casi di valutazione di una politica occupazionale su ampia scala mediante il metodo sperimentale mai attuato nella storia e che ancora oggi costituisce parametro e benchmarck per la costruzione di modelli di valutazione.

In Europa meccanismi affini faticano a trovare attuazione. Il monitoraggio e la valutazione tendono a coincidere troppo spesso con rendicontazioni di tipo economico e finanziario, incapaci di dare conto in modo esaustivo della dimensione qualitativa e controfattuale. Le difficoltà di mettere in piedi meccanismi di questo tipo sono strutturali certamente ma anche politiche. Istituire strumenti di monitoraggio e valutazione significa essere disposti a sperimentare, a mettersi in discussione e ad apprendere sulla base dei risultati. Requisiti che raramente si ritrovano nell’azione pubblica di Paesi come il nostro, come la Spagna, la Grecia e il Portogallo. Quelli, guarda caso, dove l’emergenza occupazionale è più sentita.

Da qui occorre partire, o meglio ripartire per costruire una politica occupazionale capace di reggere alla prova dei fatti e di dare conto dei risultati raggiunti. Progettare un futuro di crescita, dipende anche da questo, dalla capacità di dare risposte concrete e non solo politiche alle domande urgenti di una generazione che il nostro Paese non si può permettere di lasciare indietro.

Giulia Rosolen

Responsabile area formazione ADAPT

@GiuliaRosolen

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