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Tutte le stranezze degli stress test sulle banche

Il “comprehensive assessment” voluto dalla Bce di Mario Draghi ha bocciato secondo i risultati degli stress test ben 25 banche europee, svelando una carenza di capitale complessiva di quasi 25 miliardi di euro.

IL PARADOSSO DELLE LANDESBANK

Quello realizzato da Francoforte, secondo molti osservatori, rappresenta tuttavia un esame non privo di stranezze, come ad esempio la promozione a pieni voti delle Landesbank, le banche regionali tedesche, sulle quali si erano concentrati alla vigilia i dubbi di molti analisti.
Un “paradosso“, secondo Il Sole 24 Ore, che commenta come “ciò che rende più solide le banche germaniche è la loro bassa esposizione al credito (ovvero il denaro prestato a cittadini e imprese, considerato più rischioso, ndr), non certo l’abbondanza di capitale che anzi è tenuto ai livelli minimi indispensabili. Quel che lascia perplessi – prosegue il quotidiano di Confindustria – è che le attività di trading finanziario” di cui gli istituti di credito in questione fanno largo uso, “siano di fatto considerate meno pericolose“. Finché i mercati salgono “nessun problema per i bilanci di banche come le tedesche imbottite di Bund, azioni, titoli strutturati“. Ma in caso contrario? I mercati, sottolinea in conclusione il giornale della Confindustria, “non possono salire sempre. Siamo poi così sicuri che banche più propense alla speculazione finanziaria che al credito all’economia reale non siano anch’esse una minaccia sistemica?“.

POCHE LEZIONI DA BERLINO

In particolare, rimarca l’editorialista Guido Salerno Aletta, a non convincere è la posizione di Berlino, che stavolta non può davvero dare lezioni, dal momento che le sue banche sono state a suo dire “le peggiori“, durante gli stress test. Il costo degli aiuti pubblici alle banche tedesche, si legge, “è stato pesantissimo: in termini di deficit, 40,6 miliardi di euro. A fine 2013, l’esposizione dello Stato tedesco in termini di liabilities è stata di 217,9 miliardi di euro, su un complesso a carico degli Stati dell’Eurozona pari a 343,4 miliardi di euro. C’è una enorme sporporzione: mentre il Pil della Germania è pari al 28,1% di quello dell’Eurozona, l’ammontare delle esposizioni dello Stato tedesco verso il suo sistema bancario è pari al 63% di quello totale. Non si scappa, delle due l’una: o sono le banche tedesche ad essere poco affidabili, oppure è lo Stato tedesco ad essere troppo generoso“.

UN CASO GERMANIA?

Le banche tedesche hanno goduto di una disparità di trattamento? Qualche dubbio c’è, come rileva sul Corriere Stefania Tamburello, evidenziando i dubbi in merito degli stessi “analisti che nelle scorse settimane avevano segnalato timori per la fragilità in particolare delle banche tedesche e che ieri hanno cominciato ad evidenziare elementi di incongruenza“. Fra questi, “per esempio l’indicazione, nello scenario di riferimento dei test per le banche tedesche, di un’esposizione dell’industria navale, in netta crisi in Germania, di solo 1 miliardo, quando la sola Commerzbank ne indica nei suoi conti il doppio. Un caso Germania dunque? Saranno i mercati a rivelarlo“.

ITALIANS DO IT BETTER?

Diverso lo scenario italiano, dove la paletta rossa si è alzata per Montepaschi di Siena e Carige. Nonostante ciò, non bisogna dimenticare che mentre altrove, anche nel liberista mondo anglosassone, si è ricorso a nazionalizzazioni per salvare alcuni istituti dal crack dovuto ai subprime prima e alla crisi dei debiti sovrani poi, le banche italiane, ricorda il Corriere della Sera, “dal 2007-2008 hanno effettuato ricapitalizzazioni per 43 miliardi e ricevuto sostegni pubblici per circa 4 miliardi netti. In sostanza“, hanno dovuto “cavarsela da sole“. E questa volta non sarà diverso secondo Fabio Panetta, vicedirettore generale di Via XX Settembre e componente del Supervisory board Bce, che ha detto al quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli, che “non servono aiuti pubblici“.
Invece, secondo i dati Eurostat riportati sempre domenica da Bankitalia, “i sistemi bancari hanno beneficiato di cospicui interventi da parte dei governi: quasi 250 miliardi in Germania, 60 in Spagna, circa 50 in Irlanda e Paesi Bassi, 40 in Grecia, 19 in Belgio e Austria, 18 in Portogallo“. Per Panetta, se gli istituti della Penisola avessero ottenuto solo un terzo degli aiuti di Berlino, “avremmo un surplus di 77 miliardi“.

UN TEST POCO… REALE

Allora perché tanti affanni solo (o quasi) per le banche italiane? Per l’alto funzionario, che tradisce forse un velo d’irritazione da parte di Bankitalia, la ragione è da attribuire al fatto che il test è stato costruito su uno scenario “estremo, quasi apocalittico” che “disegna un Paese al collasso e con zero possibilità di realizzarsi“. Uno scenario che, secondo il Corriere, “prevede 5 anni di recessione, il crollo del Pil come in tempo di guerra, il forte rialzo dei tassi a medio e lungo termine e il riacutizzarsi delle tensioni sul debito sovrano“. Per gli istituti italiani questi criteri hanno significato che si ipotizzassero “perdite di circa 3 miliardi e mezzo sui titoli pubblici in portafoglio, mentre nella realtà si sono registrate plusvalenze“. Nella valutazione, dunque, ha pesato non tanto lo stato di salute delle banche, quanto la scarsa crescita dell’Italia.

SCENARIO TROPPO NEGATIVO

A questi scenari ipotetici ed estremi, secondo un’analisi di Rosario Dimito pubblicata oggi sul Messaggero, potrebbe essersi aggiunta anche una stima errata di alcune proiezioni, come quella sul prodotto interno lordo. “Il tasso di variazione del Pil ipotizzato per il 2014 (-0,9%) – scrive – è assai peggiore di quello, pur negativo, che ormai possiamo considerare acquisito quest’anno”. Una valutazione che si contraddice ipotizzando un rendimento dei titoli di Stato italiani al 5,9%: “Un rendimento non compatibile con uno scenario pesantemente recessivo“. Inoltre, per Dimito, “non è stato preso in considerazione il profilo del rischio di liquidità, la vera causa scatenante della crisi del 2007“. Una scelta tecnica che “penalizza le banche italiane che soffrono di più sul lato crediti rispetto a quelle dell’Europa centrale“.

LA BAD BANK CHE MANCA

Non solo. In un’intervista a Repubblica, il presidente dell’Abi Antonio Patuelli non ci sta a far passare il messaggio che le banche italiane siano sul banco degli imputati e rincara la dose. “L’esito è stato soddisfacente… la prova di revisione degli attivi è andata bene per tutti, ed è quella che si basa sui dati reali… è andato meno bene lo stress test, esercizio teorico fatto con assunzioni catastrofiche“. Anche per il numero uno dell’Abi, dunque, non è colpa degli istituti di credito, ma del contesto in cui operano. “Il debito pubblico italiano non ha favorito le banche” così come le sue “imprese gracili e sottocapitalizzate“, la “tassazione di settore troppo alta” e i già citati aiuti di Stato concessi altrove, ma dei quali il sistema bancario italiano non ha goduto. “Non parliamo“, aggiunge, “della bad bank” non realizzata nella Penisola: “Gli alleggerimenti di sofferenze qui avvengono tutti con operazioni di mercato, non con fondi pubblici come in Spagna, dove hanno risanato le banche anche grazie ai contribuenti italiani“. Infine, per Patuelli, a penalizzare l’Italia negli stress test è stata anche la scelta poco felice dei dati di bilancio da utilizzare, segno, forse, di una non efficacissima protezione da parte di Bankitalia e del governo, che grazie al pluralismo che caratterizza i sistemi di vigilanza Ue avrebbero potuto portare a casa qualche risultato in più. Usare dati “distanti due soli anni rispetto ai picchi dello spread del 2011 non è stato certo un favore” a Roma. Meglio sarebbe stato usare “i dati di giugno 2014, una foto più attuale“.

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