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Ecco come utilizzeremo i velivoli a pilotaggio remoto. Parla il generale Preziosa

Il 24 ottobre a Firenze l’Istituto di Scienze Militari Aeronautiche (Isma) ha ospitato la conferenza “The Multifunctional nature of the aerospace domain: a european approach”, organizzata nell’ambito delle attività connesse al semestre di presidenza italiana del consiglio dell’Unione europea. Particolare attenzione all’evento, che ha visto tra gli altri la partecipazione del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, è stata posta sugli aeromobili a pilotaggio remoto (RPAS – Remotely Piloted Aircraft Systems) e sull’implementazione del futuro sistema europeo di gestione del traffico aereo, il Sesar (Single European Sky Air Traffic Management Research) nell’ambito del Cielo unico europeo.

Dell’esperienza e dei contributi dell’Aeronautica militare italiana fatta con gli RPAS e dei progetti futuri abbiamo discusso con il capo di stato maggiore dell’Aeronautica, generale Pasquale Preziosa.

Qual è stato il contributo della Forza Armata in questo particolare ambito?

L’Italia sin dagli anni 2000 ha creduto fortemente nei velivoli a pilotaggio remoto. I primi fondi sono stati messi a budget nel 2000 e i primi velivoli (i Predator, ndr) sono arrivati nel 2004, trovando subito impiego in Iraq. Scoprimmo subito la validità di questo nuovo assetto inserito nelle nuove missioni che ci venivano affidate. Con l’invio dei Predator in altri teatri come l’Afghanistan abbiamo continuato a maturare esperienza e continuiamo a farlo, visto che attualmente questi velivoli operano da Gibuti. Quanto acquisito è stato unico a livello europeo e questo non solo dal punto di vista operativo, ma anche per quanto riguarda addestramento e dottrina. Credo che nel tempo l’Italia abbia maturato molta esperienza proprio su questi due aspetti. In particolare per quanto riguarda il primo oggi siamo in grado di lanciare la scuola di volo per i velivoli a pilotaggio remoto ad Amendola (dove la formazione partirà nel 2015 dopo la consegna dei simulatori di volo e la finalizzazione dei syllabus addestrativi che consentono di sviluppare la formazione per ogni singolo velivolo a pilotaggio remoto, ndr); mentre per quel che concerne la dottrina possiamo condividere con gli altri Paesi europei le nostre esperienze basate sulle pratiche migliori.

E per l’airworthiness?

Da un punto di vista di autorizzazione al volo di questi nuovi sistemi credo che l’italia attraverso Armaereo (dove risiede appunto l’Airworthiness Authority militare, l’equivalente di Enac nel campo civile, ndr) sia riuscita a mettere a punto una regolamentazione sull’uso dello spazio aereo in maniera flessibile per rendere compatibile il volo degli RPAS con i velivoli civili e militari pilotati. Tutto questo ci è servito per utilizzare il mezzo a pilotaggio remoto anche in emergenze di tipo civile.

Guardando oltre il Predator, quali saranno le esigenze operative dell’Aeronautica Militare?

Tutto oggi ruota attorno all’innovazione e all’adattabilità, perchè di giorno in giorno ci troviamo di fronte a sorprese strategiche. Il Predator è stato la prima risposta, adesso di fronte a queste sorprese è necessario adattare quello che gia abbiamo, come il P.1HH (il velivolo senza pilota di classe MALE di Piaggio Aerospace, ndr), una piattaforma che nel medio periodo potrà rispondere subito a queste nuove esigenze. Tutta la nostra esperienza in questo settore è stata messa a disposizione dell’industria nazionale per mettere a punto sistemi integrati molto complessi. Il P.1HH è un esempio, ma ci sono anche il Falco (di Selex ES) e le varie piattaforme in sperimentazione come lo Sky-X e lo Sky- Y.

E per il lungo periodo cosa servirà?

Nel lungo periodo quello che dobbiamo prevedere è di trovare una strada europea per un velivolo a pilotaggio remoto le cui tecnologie dual use possano trovare impiego in entrambi i settori (civile e militare, ndr) e che possa per quel che riguarda la sola parte militare avere una capacità di sistema di sistemi, in grado di operare dall’alto (anche in ambienti non permissivi, ndr) sia per il controllo che per l’intervento diretto sul terreno.

A livello industriale si può ipotizzare un ruolo da protagonista dell’Italia nello sviluppo di quello che sarà il futuro “UCAV europeo”?

L’italia ha le tecnologie per partecipare in ambito europeo a questa nuova esigenza, che necessita ora di ulteriori sviluppi. In campo nazionale le tecnologie ci sono, si tratta ora di condividerle a livello industriale e militare con altri Paesi, quindi Francia, Germania e Olanda, che assieme all’Italia rappresentano oggi le punte di diamante per quanto hanno già a disposizione.

Quali sono le tecnologie che abbiamo per questo tipo di piattaforme?

Mi riferisco in primis alla bassa osservabilità ai radar, settore questo già disponibile in Italia e per il quali andremo avanti unitamente alla parte riguardante l’elettronica di bordo.

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