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Che cosa penso del Jobs Act di Renzi

La questione dell’abrogazione dell’art. 18 della legge 300/70 tiene banco; spacca il Pd, contrappone la sua segreteria alla CGIL, mette in bilico il Governo Renzi.

Nella diatriba, però, si parla dell’atto in sé e non del suo vero valore e del modo migliore di rispettarlo, nel senso che tutto si concentra sulla sanzione della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro da cui è stato espulso senza una giusta causa acclarata in giudizio.

Poco conta che i verdetti di reintegrazione siano statisticamente irrilevanti, conta ancora meno che, una volta pronunciati, normalmente siano seguiti da transazioni che implementano il risarcimento economico. Vero è che a un’azione considerata illecita in giudizio deve seguire una sanzione esemplare. E’ qui che sta il valore, ma qui dovremmo porci qualche domanda: l’esemplarità è unicamente riconducibile all’obbligo di rimettere il lavoratore espulso nella posizione perduta o se ne può immaginare una diversa? La perdita di un posto di lavoro può essere barattata con un risarcimento economico?

All’ultima domanda si deve rispondere di no, perché un assegno, per altro mai particolarmente consistente, non è tale da consentire a una persona di risolvere i suoi problemi esistenziali per lungo tempo. Inoltre, mettersi alla ricerca di una nuova occupazione, caso mai avendo già sulle spalle il peso degli anni, non è mai facile e ancora più non lo è di questi tempi.

Alla prima domanda la risposta è, invece, più articolata. E’ evidente che il reintegro sia la soluzione più lineare, ma non è affatto scontato che sia la più tranquilla, perché l’illecito licenziamento si verifica sempre e comunque per il venir meno del rapporto di collaborazione e fiducia tra datore di lavoro e lavoratore, talché il primo resisterà all’esecuzione della sentenza anche a costo di dover sostenere costi elevati; d’altro canto, se la rispetterà, troverà mille modi per rendere la vita difficile al lavoratore reintegrato, dando seguito con ciò ad altri contenziosi giudiziari.

A fronte di una situazione, che crea in ogni caso disagi alle due parti in causa, non si capisce perché mai non si possa prevedere, in abbinamento con il risarcimento economico, sempre e comunque l’accollo al datore di lavoro condannato dei costi di un’attività, affidata ad un operatore qualificato, di orientamento, riqualificazione e alla fine ricollocazione del lavoratore interessato, sulla base di un percorso strutturato nei tempi, nei modi, nelle responsabilità.

In presenza di un comportamento illecito si risponderebbe con la presa d’atto dell’incompatibilità tra i contendenti, penalizzando, però, il più forte dei due, che è indiscutibilmente il datore di lavoro, con la sanzione dell’addebito dei costi del riavviamento al lavoro del più debole; quest’ultimo avrebbe il vantaggio di non dover subire un’azione ingiusta, con effetti devastanti sulle sue condizioni di vita, e sarebbe concretamente sostenuto nella riorganizzazione della sua esistenza.

La novità del cosiddetto Jobs act consiste nell’inserire l’abrogazione dell’art. 18 nel contesto di una riforma effettiva e universalistica del welfare, il cui l’asse portante poggia su un mix di sostegni economici e politiche attive di riqualificazione, responsabilizzazione e accompagnamento alla ricollocazione; un’ipotesi, allo stato, molto embrionale, ma ben diversa da quella monca o confusa prevista dai tentativi effettuati in passato dai Ministri Maroni, Sacconi e Fornero.

In questa scelta strategica si colloca anche il nuovo schema risarcitorio del lavoratore che abbia subito il torto del licenziamento senza giusta causa; un nuovo schema tutto da costruire, ma che dovrebbero arricchire di contenuti proprio la CGIL e gli altri sindacati, inspiegabilmente silenti, in sede di redazione dei Decreti legislativi di attuazione della Legge delega, preoccupandosi della vera salvaguardia dei valori, che è la sanzione dell’illecito, e dell’interesse vero del lavoratore, che è la permanenza al meglio nel mondo del lavoro, non l’incatenamento a vita in un posto di lavoro fonte di stress e demotivazione.

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