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Le convergenze pericolose tra Erdogan e Putin che preoccupano l’Occidente

È sull’asse Mosca-Ankara che si muovono molte delle odierne preoccupazioni occidentali. Da un lato c’è la crisi di Kiev, nella quale il Cremlino soffia spesso sui tizzoni ardenti della confusione in cui versa la parte orientale dell’Ucraina (emersa ancora di più nelle recentissime elezioni). Dall’altro c’è invece l’ambiguità turca in molti dossier, compreso quello del contrasto all’Isis, che vede un ruolo marginale e spesso critico della Turchia (ribadito venerdì a Parigi dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha accusato la coalizione internazionale impegnata contro l’Isis, a suo parere troppo concentrata sulla città siriana a maggioranza curda Kobane e che aveva giù addebitato il caos mediorientale all’accordo Sykes-Picot).

Entrambi i versanti impensieriscono in modo non banale la Nato. Nel primo caso perché ciò che accade in Ucraina terrorizza i Paesi che prima facevano parte dell’Unione sovietica, come i baltici, e che ora aderiscono all’Alleanza Atlantica. Nel secondo perché è Ankara stessa ad essere un componente importante dell’organizzazione guidata da qualche settimana dal segretario generale Jens Stoltenberg.

LE CONVERGENZE TRA PUTIN ED ERDOGAN

Il fatto che la Turchia, in qualità di Paese Nato, acceda a informazioni riservate di natura sia politica sia militare, non è secondario (le opinioni sul tema sono come prevedibili molteplici e discordanti e le riassume in modo molto preciso in questo articolo al-Monitor). Da tempo Ankara gioca nella regione partite diverse e spesso in contrasto con quelle dei partner (come le pericolose relazioni energetiche con il Califfato di al-Baghdadi). Ma non è da sottovalutare nemmeno, come sottolinea il New York Times, il fatto che sotto la guida di Erdogan la nazione abbia subito una vera e propria metamorfosi, che assume la forma di analogie sempre più forti tra i due leader.

In Turchia – scrive il quotidiano americano –, il presidente è tecnicamente secondo al primo ministro (l’ex titolare degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ndr). Ma in pratica, quando Erdogan è stato eletto presidente nel mese di agosto, ha acquisito nella sua nuova posizione anche il potere e i privilegi del presidente del Consiglio. E come Vladimir Putin, che si è anche avvicendato tra le medesime cariche, più Erdogan è diventato forte, più i rapporti con gli Stati Uniti sono diventati tesi“.

I DUE LEADER

Due uomini arrabbiati“, li definisce in un commento sul Guardian, Natalie Nougayrède, che sottolinea come difficilmente passi una settimana senza che Putin o Erdogan, governanti di due grandi nazioni al confine con l’Europa, si scaglino contro gli Stati Uniti o il Vecchio Continente. Entrambi sono sostanzialmente in crisi, non solo all’esterno, ma anche nei loro Paesi dove fronteggiano (e reprimono) un crescente dissenso. Tuttavia entrambi – in Italia vicini in passato al governo Berlusconi – si caratterizzano per un atteggiamento aggressivo. Il giornale britannico ricorda come “in una recente diatriba davanti a studenti universitari di Istanbul, il presidente abbia messo in guardia contro i moderni “Lawrence d’Arabia” che cercano di minare il potere turco“. E come, allo stesso modo, la settimana scorsa, Putin abbia colpito gli Stati Uniti nel corso di una riunione del Valdai Club di Sochi, il suo forum annuale di pubbliche relazioni. Il leader russo ha rivendicato l’autonomia russa, denunciando presunti “diktat americani unilaterali” e “nichilismo giuridico“, riferendosi all’annessione della Crimea. Non solo: a unire i due ci sarebbe anche la megalomania. Erdogan, ha inaugurato da qualche giorno la nuova sede presidenziale che si è fatto costruire nella periferia di Ankara. Il suo nome è Ak Sary, la “Casa Bianca” turca e occupa un’area di 200mila metri quadri. Secondo i media turchi i costi di realizzazione hanno raggiunto la cifra stratosferica di 350 milioni di dollari, ricordando molto da vicino le manifestazioni in grande stile organizzate dal padre-padrone della politica russa. Identità di modi e proclami che molti in Occidente considerano i sintomi di una perdurante crisi e, forse, di pericolose nuove minacce.

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