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Quanto vacilla il patto tra Renzi e Berlusconi

Questo commento è stato pubblicato su La Gazzetta di Parma

Per ora Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si minacciano con gesti e rituali. Il primo ha fatto il suo bel vertice di maggioranza (guai a chiamarlo “verifica”; in epoca di rottamazione non si può), e ha reso note le condizioni e correzioni che intende imporre su legge elettorale e dintorni al suo oppositore di riferimento. Niente di così grave che Berlusconi, il nemico-amico, non possa accettare. Ma il solo fatto che il presidente del Consiglio abbia cucinato da solo la minestra, e chi non la mangia salti pure dalla finestra, ha provocato l’ira dei commensali di Forza Italia non invitati.

Essi temono che il cosiddetto patto del Nazareno, cioè l’accordo stile tè delle cinque tra Matteo e Silvio, sia passato di moda. E che il capo del governo non voglia più frequentare la passerella dei pasticcini – in tutti i sensi – con Berlusconi per andare, invece, presto e dritto alle urne. Anche perché un eventuale cambio dell’oppositore prediletto (Grillo che beve il tè al posto di Berlusconi? Beato chi ci crede…), appare piuttosto difficile. E perciò Renzi rilancia: basta rinvii, qui si decide. Entro febbraio lui vuole la nuova legge elettorale e così la legislatura finirà nel 2018. Ma a nome dei destinatari dell’ultimatum Renato Brunetta reagisce a muso duro: “Il premier cambia tutto? Allora vada avanti da solo”. Niente diktat è la risposta dei berlusconiani al fiorentino.

Piccole gelosie crescono. Ma cresce soprattutto il dubbio su quanto possa tenere l’intesa che vacilla tra Renzi e Berlusconi. E’ una specie di polizza assicurativa per entrambi. Consente al presidente del Consiglio di annunciare che potrà fare alcune importanti riforme che Berlusconi avrebbe voluto fare, avendole soltanto e pure lui annunciate. E consente al leader di Forza Italia di conservare un ruolo politico rilevante, inversamente proporzionale alla debolezza del centro-destra, alla forza del Pd e alle potenzialità dei Cinque Stelle. Renzi e Berlusconi, sale la tensione e s’alzano le voci gladiatorie. Ma in fondo sta bene a tutti e due. All’orizzonte ci sono le dimissioni senza data, ma anch’esse “annunciate”, dell’anziano presidente della Repubblica. Chi verrà dopo Giorgio Napolitano? E’ chiaro che Forza Italia e il suo leader non vogliano restare esclusi dalla scelta altrui. E poi la maledetta crisi economica, per contrastare la quale Bruxelles torna a lanciare l’allarme sulle misure insufficienti adottate dal governo italiano. E’ chiaro che l’uomo solo al comando, cioè Renzi, abbia bisogno del maggior numero di non belligeranti in Italia per convincere l’Europa a non rompere più le scatole. Riecco l’amico-nemico Berlusconi, che può tornare utile per il compito, ossia per fare i compiti a casa, come preside Angela Merkel esige da Berlino.

Se i rottamatori della rivoluzione in corso non s’offendono, siamo in piena “convergenza parallela”, come quei retrò della prima Repubblica avrebbero definito il patto in bilico tra Matteo e Silvio. Distanti e distinti, ma l’uno non può fare a meno dell’altro. Camminano, e soprattutto Berlusconi, su un sentiero strettissimo e tortuoso. Ma l’alternativa è sprofondare nell’abisso.
Tutto si tiene. Ha un senso perfino il contentino dello sbarramento al tre per cento, appena, inventato per la legge elettorale. Uno sbarramento che il presidente del Consiglio ha abbassato con furbizia per premiare i soliti cespugli di lotta e di governo. Accontentarli tutti con le briciole, per continuare a governare solo lui.

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