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Tutte le ombre del TFR in busta paga

Un governo saggio e che vuole durare grazie alla saggezza non insegue le pulsioni della massa ma la educa e la precede” – Domenico De Masi

Tratto dall’articolo pubblicato sul numero di ottobre 2014 della rivista Lavoro e Welfare

Viviamo in un mondo dove orizzonti nuovi hanno bisogno di strumenti nuovi. Una sola cosa è chiara: il nostro Welfare State non ha più la capacità di gestire cambiamenti che avvengono alla velocità della luce in un sistema con vincoli di finanza pubblica ed una concorrenza globalizzata spietata ed efficace. E’ per questo che è strategico pensare ad un sistema di welfare society che non tuteli più il “posto fisso”, ma si basi su una continuità professionale che congiunga periodi di lavoro diversi.

In ogni caso, il tema del TFR va analizzato in modo più approfondito. Dalle analisi sono emerse grandi ombre ,a la domanda è: conviene o non conviene? In che misura può consentire un incremento di potere d’acquisto per i lavoratori più in crisi, e al di là di quale soglia invece sarà una decisione di cui, nel lungo periodo, bisognerà pentirsi? Si tratta comunque di una richiesta assolutamente volontaria che potrà essere inoltrata da coloro che siano sotto contratto da almeno sei mesi. Niente da fare per i lavoratori agricoli, domestici o in cassa integrazione. E, naturalmente per i lavoratori del pubblico impiego che il TFR non ce l’hanno.

Proviamo ad andare in profondità. Se si analizza la manovra, emerge che le maggiori sorprese riguardano il contributo delle entrate che è di circa 10 miliardi di cui 2.5 derivanti dalla tassazione del TFR in busta paga. In questo ambito, va sottolineato che, secondo la relazione tecnica, l’intera operazione dovrebbe essere a saldo quasi zero per la PA perché alle maggiori entrate associate al pagamento dell’Irpef sul TFR si dovrebbero dedurre i minori versamenti al fondo INPS che replica il TFR. La relazione ipotizza, infatti, che siano soprattutto i lavoratori delle grandi imprese (quelli del fondo INPS) a portare il TFR in busta paga.

Tuttavia questo non è del tutto certo: se il TFR venisse smobilizzato più di quanto ipotizzato dal Governo dai lavoratori delle imprese con meno di 50 dipendenti (fatto probabile perché sono quelli per cui non opera il fondo INPS, che hanno i salari e tasse marginali Irpef più basse e, soprattutto, un più alto rischio di fallimento della loro impresa), l’erogazione del TFR in busta paga porterà ad aumentare in misura significativa, come abbiamo sottolineato in precedenza, il prelievo netto operato dallo Stato.

Ma cosa succede per i singoli? Nell’auspicio che il Governo, come sembra, mantenga le aliquote Irpef invariate al netto degli 80 euro, per redditi sopra i 28.650 euro, cioè la soglia al di là della quale scatta l’aliquota al 38%, sarebbe meglio starne alla larga, mentre per gli scalini inferiori i contribuenti potrebbero trarne beneficio perché la tassazione si manterrebbe a prima vista coerente con quella attualmente prevista.

Tutto chiaro, allora? Non proprio. Una delle prime conseguenze, infatti, sarà che su tale aumento salariale, l’INPS potrà avanzare richiesta sulla contribuzione previdenziale, al lordo delle ritenute fiscali. A questo proposito, insomma, se è intenzione del lavoratore richiedere l’anticipo del TFR dovrà preoccuparsi di valutare anche le eventuali pretese dell’INPS verso il datore di lavoro. E non dimenticare che, a tassazione ordinaria, ci pagherà anche le addizionali comunali e regionali.

Ecco perché, al di là dl fatto che avvenga su base volontaria e che possa far respirare chi soffre di più l’impatto della crisi, non crediamo che tale operazione garantirà risultati, a maggior ragione se la partita fiscale si tradurrà in un aggravio. I lavoratori sono attaccati al TFR, lo percepiscono come riserva per il futuro e, a meno che non siano in gravissime difficoltà economiche, non penseranno comunque di spenderlo in consumi.

Il problema centrale è sempre quello comportamentale. E’ vero che le riforme non nascono perfette e che in tempi di crisi, il TFR è una riserva di potenziali consumi che fa gola a tutti i governi, ma in realtà bisogna sempre verificarne, in termini di risposte nei comportamenti del cittadini/consumatori, la pragmatica fattibilità.

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