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Unicredit, Intesa, Mediobanca & Co, ecco le richieste di Luigi Abete (Febaf) all’Europa

Una nuova riforma strutturale del settore bancario europeo. A proporla, lo scorso gennaio, è stata la Commissione europea con la pubblicazione di un regolamento che prevede la separazione dalla “casa madre” di alcune attività di trading svolte dalle banche. “L’obiettivo di fondo è quello di separare le attività di trading dalla attività di intermediazione creditizia tradizionale, determinando potenzialmente la fine del cosiddetto modello di banca universale”, così si legge in un documento di sintesi della Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza (Febaf).

UNA RIFORMA CHE A FEBAF NON PIACE
La Federazione fondata nel 2008 da Abi e Ania, a cui hanno aderito nel 2011 Assogestioni, nel 2013 Aifi, oltre che Assofiduciaria, Assoimmobiliare, Assoprevidenza, Assosim come associati aggregati è presieduta da Luigi Abete. E ad Abete le proposte contenute in questa ennesima riforma delle banche d’Europa non sono affatto piaciute.
“La proposta legislativa – se approvata – potrebbe incidere negativamente sul settore bancario – si legge nel documento di Febaf – e sulla sua capacità di sostenere l’economia reale poiché, seppur con diverse gradazioni, impatta sui costi di finanziamento delle banche, limita la capacità di diversificare le fonti di provvista, riduce la gamma di prodotti che è possibile offrire alla clientela ed impone nuovi costi di compliance”.

COSA PREVEDE LA PROPOSTA DI RIFORMA
La nuova riforma proposta dalla Commissione si applicherebbe alle banche Ue di importanza sistemica, ovvero le banche che per 3 anni consecutivi hanno superato i 30 miliardi di euro di totale attivo e i 70 miliardi di attività di negoziazione totali (attività e passività): gli istituti coinvolti sarebbero 29, secondo la prima lista stilata dalla Commissione, in cui compaiono quattro italiani: Unicredit, Intesa, Ubi ed Mps.
Ma è molto probabile – secondo la ricostruzione di Formiche.net – che la norma si allarghi alle 15 (e alle 130 in Europa) banche maggiori sotto l’egida dell’Eba e quindi inglobi anche Mediobanca, Banco Popolare, Credem, Popolare di Vicenza, Bpm, Creval, Popolare di Sondrio, Veneto Banca e Carige.
L’Eba avrà il compito di definire le norme tecniche per la definizione delle attività di negoziazione oltre che il potere di estendere i requisiti di separazione di una banca sotto la soglia se vi è una minaccia alla stabilità finanziaria.
A queste banche sarà vietato, o richiesto di scorporare in un’entità separata: l’esercizio del proprietary trading in senso stretto (esercitato «… al solo scopo di lucro per conto proprio e senza alcun collegamento con l’attività presente o anticipata del cliente»); il possesso, la sponsorship o l’esposizione verso hedge fund, o il possesso di azioni in qualsiasi entità che svolge un’attività di trading proprietario o sponsorizza hedge fund. L’Eba dovrà analizzare le attività di negoziazione soprattutto su strumenti complessi come cartolarizzazioni e derivati complessi e intervenire se queste a attività compromettono gli obiettivi della riforma strutturale o rappresentano una minaccia per la stabilità finanziaria della banca o dell’intero sistema finanziario. I titoli sovrani di Stati membri dell’Ue sono esenti dall’obbligo di controllo di vigilanza.

MAGGIORI COSTI (CHE SUPERANO I BENEFICI)
Perché queste proposte inciderebbero sui costi di finanziamento delle banche? I motivi li spiega ancora Febaf, adducendo tre motivazioni fondamentali: la proposta limita “la capacità di finanziarsi sul mercato all’ingrosso e di utilizzare strumenti di finanza innovativa; fa aumentare i fondi propri perché in generale i requisiti di capitale applicati su una sola entità sono meno onerosi della somma dei requisiti di due entità distinte” e perché “per le entità separate legalmente viene meno la possibilità di usufruire del miglior giudizio sul merito creditizio che deriva dalla garanzia della capogruppo e, soprattutto, di finanziarsi con operazioni infragruppo”. Senza considerare il rischio che “le attività di trading proprietario migrino verso entità meno regolamentate, magari residenti al di fuori dei confini nazionali, aumentando i rischi posti sul mercato dal cosiddetto settore bancario ombra”. La federazione italiana trova man forte anche da quella bancaria europea: l’Fbe infatti evidenzia i possibili impatti della riforma sul costo dei finanziamenti delle banche e valuta anche l’impatto sull’economia reale, dunque Pil e occupazione. Costi che in ultima analisi “superano certamente il beneficio che si ottiene in termini di maggiore stabilità”.

CI VUOLE PIÙ TEMPO
La separazione dovrà avvenire nel giro di cinque anni. Ovvero dopo l’adozione della normativa entro il mese di dicembre 2015, l’entrata in vigore è indicata nel gennaio 2017. Il rispetto del divieto di trading proprietario andrà applicato entro il 2018, mentre il rispetto dell’obbligo di scorporo delle attività entro il marzo 2020.
Ma Abete chiede all’Europa più tempo, anche perché la direttiva sulla gestione delle crisi bancarie “(BRRD – che gli Stati membri dovranno trasporre entro fine 2014) già prevede il potere per le autorità di risoluzione di separare le attività di investimento da quelle retail, laddove ciò costituisca un pericolo per la stabilità e la ordinata risoluzione della banca”. Il carrozzone Europa alla ricerca di (improbabili) soluzioni arranca e il suono che produce è sempre più cacofonico.

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