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Vi spiego perché il Partito della Nazione di Renzi non nascerà in Emilia Romagna. Parla il politologo Pombeni

Un partito che non ha saputo affrontare il tema della successione di Vasco Errani e un candidato incapace di esprimere una vera leadership. Il politologo Paolo Pombeni non fa sconti al Pd emiliano-romagnolo e al suo aspirante presidente, Stefano Bonaccini, a pochi giorni dal voto per le elezioni regionali. Già docente alla Facoltà di Scienze Politiche di Bologna, attualmente direttore dell’Istituto storico italo germanico e della rivista MentePolitica.it, Pombeni è un fine conoscitore del laboratorio politico bolognese.

Professore, dopo 15 anni di governo Errani, come si presenta il Pd emiliano-romagnolo a queste elezioni anticipate?

Il Pd arriva impreparato a un appuntamento solo formalmente imprevisto, se si considera che il terzo e ultimo mandato di Errani sarebbe comunque scaduto a marzo. Data l’importanza del tema, mi sarei aspettato una lunga preparazione, sulla quale l’anticipo di qualche mese del voto non avrebbe pesato più di tanto. Invece per trovare un candidato che andasse bene alla Ditta si è dovuto attendere fino a settembre, una cosa sconcertante. Inoltre s’è fatto un accordo sulla persona di Bonaccini, assolutamente degna, ma senza alcuna riflessione sul progetto politico da portare avanti. Chi ha provato a proporre un programma di discontinuità (Roberto Balzani, ndr) è stato triturato dal sistema della militanza. Era difficile immaginare che il Pd non preparasse per tempo la successione a Errani, è stata una debolezza tipica di un partito chiuso in se stesso.

Dopo il flop delle primarie, con appena 58mila votanti su 75mila iscritti, il vero nemico di Bonaccini è l’astensionismo?

Con la bassa affluenza Bonaccini sarebbe un presidente doppiamente depotenziato. A livello nazionale si presenterebbe infatti come una persona ignorata da gran parte dell’elettorato, inoltre questo segnerebbe un cambiamento antropologico in una regione con una grande tradizione di partecipazione. Tuttavia, bisogna attendere i dati, perché poi l’abitudine di recarsi alle urne qui c’è e potrebbe riservare sorprese.

L’inchiesta sulle spese pazze in Regione però non aiuta.

Sicuramente, ma rappresenta un problema più generale innanzitutto per il Pd, incapace di sanzionare il suo ex capogruppo (Marco Monari, ndr) dimostratosi veramente impresentabile. Magari il suo comportamento potrà non avere conseguenze penali, ma è riprovevole sul piano morale e il partito si è limitato a consigliargli l’autosospensione parlando poi di grande senso di responsabilità una volta fatta. Il vecchio Pci l’avrebbe “squartato” in piazza Maggiore.

Che idea s’è fatto di Bonaccini?

E’ l’ultimo esempio positivo della politica come professione. La sua candidatura testimonia anche l’intelligenza politica di Renzi nel coinvolgere quante più anime del partito così da favorire le “conversioni”. Ma Bonaccini ha una sfida difficilissima: deve mostrare capacità di leadership che fino a questo momento gli sono mancate, ha fatto una campagna elettorale di bassissimo profilo e senza un’idea brillante. In futuro si vedrà se è un politico di professione del vecchio sistema, quindi capace di avere attorno a sé una squadra di livello, oppure se sarà anche lui un prodotto della nuova politica alla quale interessa soltanto farsi accettare dall’opinione pubblica.

Queste elezioni sanciscono la fine del modello emiliano?

Bisognerebbe innanzitutto mettersi d’accordo su cosa sia questo modello, che comunque è già profondamente cambiato. Ciò che sicuramente va smantellato è quel consociativismo un po’ melmoso inteso non come una forma di dialogo tra componenti diverse e strutturate, bensì come associazione di mutuo soccorso tra gruppi dirigenti, ciascuno dei quali solidissimamente in sella. Bonaccini ha il problema di rompere questo modello, individuando meccanismi per ridare ossigeno alla politica e se qualcuno si arrabbierà perché gli verranno pestati i piedi… bhè, pazienza.

Bonaccini ha la strada spianata anche per la mancanza di una reale alternativa?

Sui 5 Stelle il risultato è assolutamente incerto, perché si tratta di un voto di protesta sganciato da qualsiasi ragionamento concreto, un voto paragonabile a uno sputo in faccia, un gesto istintivo. Il centrodestra è invece in una situazione curiosa: da un lato l’anima più “becera” della destra sta rifluendo nella Lega Nord, dall’altro quella più moderata qui è sempre stata debole e comunque disponibile alle mediazioni con la sinistra. Forza Italia è in crisi perché è ancora retta da un vecchio signore un po’ sfiatato, e in questa campagna elettorale regionale non s’è quasi vista. Mi sembra di ritrovare gli atteggiamenti dei vecchi liberali prima dell’arrivo del fascismo, un partito in disarmo. Pertanto, se le sensibilità più inclini alla destra finiranno per votare la Lega, le altre si rifugeranno o nell’astensione o in una forma di accordo in quel nuovo partito di rappresentanza generale che vorrebbe essere il Pd.

Quindi le regionali in Emilia-Romagna sono il primo tassello per il partito della nazione di cui parla Renzi?

Queste sono le intenzioni, ma qui il Pd farà più fatica che altrove a creare un soggetto di rappresentanza generale. In Emilia il Pd è ancora fortemente un partito-setta con una struttura interna intima e poco capace di allargarsi, una militanza radicata che fa fatica a fare posto ad altri. Oggi il Pd non riesce più a sistemare chiunque, i posti sono diminuiti e se non c’è abbastanza spazio per i suoi uomini, figurarsi per quelli che vengono da fuori. Lo si è ben visto nella composizione delle liste per il consiglio regionale.

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