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Renzi alla prova Emilia Romagna (e non solo)

Il giovane Presidente del Consiglio cresciuto a pillole di politica sta misurando il suo consenso e saranno i risultati delle elezioni di domani in Emilia Romagna,fortino storico rosso sangue di bue, e in Calabria dove i noti fatti di malaffare contaminano da sempre ogni giornata, la misura vera e concreta, seppur parziale, della partecipazione e del consenso attraverso il voto. Renzi ha scorribandato su e giù per il mondo e per l’Italia tenendo una visibilità mediatica altissima. Ma tant’è oggi conta di più l’apparire che essere e la dimostrazione che è questa la caratteristica dominante è l’affermazione che molte donne fanno: “Sai Alessandra avere un posto di visibilità oggi significa avere potere”. Ma signore mie non basta!

Bisogna avere prima di tutto competenza e dare risultati nel ruolo ricoperto! Altroché! Quale che sia il giudizio che si vuole dare ai provvedimenti dell’esecutivo, è inevitabile che il risultato vero su cui questo governo è misurato, come qualunque altro lo sarebbe, è la fine della recessione e l’inizio della ripresa economica. E qui non ci siamo. Cambiamento e modernità contro conservazione e residuati ideologici? I risultati che tardano fanno dubitare e il clima politico è molto acceso anzi esplosivo. Dopo Renzi, determinato giovane che però non ce la fa, si creerebbe un vuoto incolmabile o, peggio, riempibile di qualsiasi pericolosa avventura? No, semmai la preoccupazione è che il Paese non ce la faccia a sopportare un’ulteriore fase di stagnazione recessiva. Vi è una fuga dagli investimenti e una perdurante contrazione dei consumi, e la depressione incombe e lo sciopero generale serve come sfogo anche se è veramente inutile in questo momento.

Abbiamo bisogno di riforme istituzionali affidate ad un’Assemblea Costituente, un piano straordinario per l’economia basato sul recupero di risorse straordinarie – attraverso un progetto di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico – da usare per ridurre il debito pubblico e alimentare un grande piano di investimenti pubblici e abbattimento della pressione fiscale, un piano d’emergenza per la messa in sicurezza del territorio e la valorizzazione delle risorse artistiche e ambientali, e, infine, una semplificazione degli assetti del decentramento amministrativo, annientando questo maledetto federalismo che ci ha portato al fallimento. I partiti che animano la scena non rappresentano interessi e umori degli italiani, ma solo e troppo le loro pulsioni e repulsioni.

Intanto la Costituzione s’è spezzata sotto il peso di un eccessivo trasloco di poteri sul Colle quirinalizio, mentre la giurisdizione è divenuta l’unica sede della decisione. Posto che la giurisdizione, per sua natura, non può essere e non è democratica, né risponde dei propri errori. Siccome il tempo ci costa, impoverendoci sempre di più e sottoponendoci all’interessata eterodirezione dall’estero, dobbiamo trovare un’uscita di sicurezza. E’ necessario che la democrazia consegni agli elettori reale potere di scelta, designando il vincitore, nonché che questo riesca a misurarsi con le promesse che fa, avendone i poteri. Ma simili riforme non sono alla portata di un Parlamento privo di maggioranza e di legittimità politica. Scioglierlo comporta far cadere il governo. Ma l’inconsistenza politica, l’irrilevanza istituzionale e l’incapacità personale della gestione economica e dei rapporti con l’Unione europea stanno provocando danni enormi. Inutile supporre che le forze politiche rilevanti siano molte, semmai sono tutte non rappresentative. Quelle che possono concorrere alla maggioranza relativa, per poi provare a governare sono solo quelle due.

L’accordo veloce però quei due non lo hanno trovato e votare adesso con questo sistema che la Corte costituzionale ci ha regalato non è facile, chi prende un voto più dell’altro guida e forma il governo; l’altro guida la piroetta delle riforme costituzionali. Il testo lo si elabora in fretta, perché le opzioni serie sono limitate: monocameralismo e schema presidenziale, o di premierato; legge elettorale coerente, quindi uninominale a doppio turno o proporzionale con sbarramento (alla francese o alla tedesca). Riconduzione di ciascun potere nei binari dello Stato di diritto. Lo spreco del danaro pubblico è una porcheria ma chi è incaricato di governare lo fa fino in fondo, perché in un sistema funzionante ci si dimette al sospetto, ma il nostro è allo stadio ultimo della metastasi, sicché non si può consentire alle procure di esautorare i governanti.

Riformata la Costituzione e la giustizia, si vara l’amnistia che è sicuramente provvedimento ripugnante, ma ci libera dal passato. Tornando a votare si riprende il cammino di una normale Repubblica. Fatta di glorie e miserie, come tutte le democrazie, ma, almeno, non affogata nell’inutilità suicida, come l’attuale. Si dice che la condizione dell’economia c’impedisce di procedere in tal senso. È vero il contrario: la condizione dell’economia c’impedisce di continuare a svenarci inutilmente, e senza fine. Poi c’è l’obiezione politicista: Renzi e Berlusconi avevano la possibilità di voltare definitivamente pagina, consegnando la malapolitica degli schieramenti al passato. La verità è che dobbiamo mettere in campo una classe dirigente meno penosa di quella che vediamo. E c’è. L’Italia ha risorse, anche morali, e competenze da spendere. È la politicaccia esistente ad avere un effetto repellente.

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