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Al via la ri-educazione della scuola italiana. In nome del Gender

Scrivevo la settimana scorsa di come sia in atto nella società, a tutti i livelli, una vera e propria dittatura del pensiero unico, declinato secondo i canoni dell’ideologia di gender. Caso mai ci fosse bisogno di una conferma, ecco la notizia – lanciata da La Nuova Bussola Quotidiana e Tempi – che oggi e domani i dirigenti scolastici di tutta Italia seguiranno al Ministero dell’Istruzione un corso di formazione – indovinate su cosa? – proprio sulla dottrina di genere. L’iniziativa – che va inquadrata nell’ambito della Settimana nazionale contro la violenza e la discriminazione, in corso in questi giorni – fa seguito e dà attuazione alla “Strategia nazionale 2013-2015 per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, adottata dal governo Monti nell’aprile 2013. Il corso, come detto, è organizzato dal Miur con il supporto dell’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali) – che già nei mesi corsi finì nell’occhio del ciclone per aver patrocinato sotto l’egida del Dipartimento delle Pari Opportunità i famigerati libretti “Educare alla diversità”, prima diffusi in tutte le scuole e poi fatti ritirare in fretta e furia dal Ministero stesso dopo le proteste di parlamentari, associazioni, giornali, ecc., – e la collaborazione del servizio Lgbt di Torino e della RE.A.DY., cioè la rete nazionale delle pubbliche amministrazioni impegnate, come scrive il direttore de la Nuova Bussola Riccardo Cascioli, “nella promozione dell’ideologia omosessualista”.
Ma è il programma del corso che dice più di tante parole come stanno le cose e qual è la posta in gioco. I contenuti, si legge su La Nuova Bussola Quotidiana, sono divisi in cinque sezioni: la prima riguarda la posizione dell’Italia sul riconoscimento dei diritti e delle politiche LGBT rispetto all’Europa; la seconda verte invece sulla presentazione di un’indagine ISTAT – finanziata dal Dipartimento Pari Opportunità, quindi con soldi pubblici – su “La popolazione omosessuale nella società italiana”; poi ci sarà una lezione su “Lessico e stereotipi”, ovvero, scrive Cascioli, “l’imposizione di un linguaggio gay-friendly così che già dalla scuola materna – tanto per fare un esempio – si dovrà insegnare che non c’è una sola famiglia, ma tante famiglie diverse (forse che la diversità non è una ricchezza?). E guai al bambino che dirà “papà” e “mamma” e a chi oserà ripetere quella terribile affermazione sentita in casa “Di mamma ce n’è una sola”. Quarto, un focus sul ruolo del MIUR e degli Uffici scolastici regionali dove si parlerà di «strumenti di governance per l’inclusione delle tematiche LGBT nel mondo della scuola» e verrà presentata la campagna “Tante diversità uguali diritti”. Quinto e ultimo, il tema del bullismo “omofobico e transfobico a scuola”, che non poteva certo mancare visto che “sono già pronte le linee guida in materia”, come la stessa Bussola ha rivelato qualche giorno fa. E perché il tutto non resti troppo teorico, il corso prevede anche due ore di lavoro sulle “buone pratiche” realizzate con alcune associazioni LGBT in ambito educativo e scolastico, cui seguiranno tre workshop.
Qual è il problema? Certo non lotta alle discriminazioni, ci mancherebbe. Ma il fatto che dietro il paravento della tolleranza e del rispetto delle diversità, si voglia imporre – per di più con il “bollino” statale e in spregio dell’art.26, comma 3, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – una visione unilaterale della sessualità (e di conseguenza della famiglia) che non solo non rispetta chi la pensa diversamente – al punto che se il ddl Scalfarotto diventerà legge non si potrà più neanche dire di essere contro il matrimonio gay, pena il carcere – ma che soprattutto veicola e promuove una nuova antropologia che fa strame del semplice buon senso, prima ancora di qualsivoglia visione religiosa o filosofica sul tema. Il tutto – e questo è l’aspetto che più fa rabbia – sulla pelle dei più deboli e degli innocenti, cioè dei bambini, dei nostri figli che saranno costretti a sorbirsi lezioni di ri-educazione sessuale fin dalla più tenera età, dove apprenderanno, ad esempio, che essere maschio o femmina è una libera scelta dell’individuo che prescinde dal dato biologico e di natura. E dove quindi i maschi saranno “invitati” a truccarsi come le femmine, con tanto di rossetto, cipria e gonnelline, e viceversa. Un film dell’orrore che, a ben vedere, non è altro che il sequel di quello andato in onda nel ’68, quando sulla scia della rivoluzione culturale di quegli anni nacque una nuova pedagogia che doveva fungere da levatrice dell’Uomo Nuovo. Una pedagogia, come ha ricordato il gesuita Peter Henrici in una superba lectio pubblicata oggi su Avvenire, “non direttiva, ma anti-autoritaria, che si ispirava al modello proposto Alexander S. Neill nella scuola di Summerhill. Neill da parte sua si era ispirato alla “rivoluzione sessuale” che lo psicanalista americano Wilhelm Reich aveva proclamato le suo La funzione dell’orgasmo: un altro bestseller di quegli anni. Per promuovere tale pedagogia, si confezionò una versione del Libretto rosso ad usum delphini, cioè per gli scolari, distribuito dai maestri nelle scuole”. Esattamente ciò che sta accadendo oggi.

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