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L’Europa non deve dimenticare la Libia. I consigli di Enzo Amendola (Pd)

La Libia scivola sempre più verso la guerra civile. Gli scontri si intensificano, così come il caos istituzionale, e il Paese è ormai spaccato in due. Da una parte ci sono le città controllate dai miliziani filo-islamisti, al comando a Tripoli e Bengasi; dall’altra il governo e il Parlamento – sciolto da una sentenza della Corte suprema –  riconosciuti internazionalmente, rifugiatisi a Tobruk. In un quadro così complicato, è essenziale il ruolo dell’Onu, ma soprattutto il sostegno che l’Europa, alle prese con un conflitto esploso alle sue porte, saprà dare. A sostenerlo è Enzo Amendola, responsabile Esteri del Pd e capogruppo in commissione Esteri alla Camera, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché “la Libia è la nuova frontiera della politica estera di Bruxelles“.

Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha detto ieri, in un’intervista a Repubblica, che “l’Italia è in prima fila per inviare truppe in Libia, se l’Onu lo chiede“. Condivide?
Tutti gli attori coinvolti in Libia utilizzano le armi per guadagnare posizioni, all’interno di una più ampia guerra per procura nello scacchiere del Mena. Dinanzi a tutto ciò, il nostro sostegno alla missione Onu guidata da Bernardino Leon è pieno. Appoggiamo ogni sforzo delle Nazioni Unite volto a stabilizzare il Paese.

L’Italia sembra spronare la comunità internazionale a non sottovalutare le conseguenze della crisi libica. Perché?
Dall’audizione del ministro Gentiloni in commissioni riunite, era chiaro a tutti che la Libia sarebbe stata la frontiera della politica estera europea. Non è un caso che Federica Mogherini, prima di ottenere l’incarico di Alto rappresentante dell’Unione, si recò proprio in Libia dopo la conferenza in Spagna con le parti coinvolte.
L’intera area è sotto attacco di nuove minacce interne e, come nel caso della Libia, è terreno fertile per traffici illeciti, a partire da quello degli esseri umani. Un condizione che rischia di far diventare il Mediterraneo, cito Papa Francesco l’altro ieri a Strasburgo, “un cimitero”.

Cosa si aspetta l’Italia da Bruxelles nella vicenda libica?
La Libia è innanzitutto una frontiera della fragilità europea. Se decidiamo di essere un attore globale, come peraltro scritto nei principi fondativi della nostra casa comune, dobbiamo impegnarci per risolvere le crisi regionali alle nostre frontiere. E la Libia, al collasso-politico-istituzionale, è una di queste.

Si è conclusa da pochissimo la visita del presidente egiziano Al-Sisi in Italia. La Libia è stata al centro dei colloqui. C’è un’agenda comune tra i due Paesi?
Come componente della commissione Esteri, mi fa piacere ricordare che con il presidente Cicchitto ci recammo in Egitto per aprire una interlocuzione comune con i vertici egiziani ed Al-Sisi stesso. Era evidente a tutti che il ruolo del Cairo nel contrasto al terrorismo e nella risoluzione dei conflitti regionali fosse decisivo. Fece bene il premier Renzi a recarsi anch’egli in Egitto per lo stesso motivo. La visita del presidente egiziano è la logica conseguenza di una ripresa della politica estera dell’Europa verso la regione.

A proposito di terrorismo: anche l’Italia è impegnata nel contrasto a questa insidiosa minaccia. Su cosa è concentrato il lavoro di Governo, Parlamento, forze dell’ordine e intelligence?
C’è molta attenzione volta a prevenire i rischi. Indubbiamente, il pericolo maggiore viene non solo dai foreign fighters, ma soprattutto dai cosiddetti lupi solitari, che mettono in atto azioni a volte isolate e dunque difficilmente prevedibili, ispirate ai comandamenti dello Stato Islamico.

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