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Papa Francesco da Strasburgo invita i cattolici all’impegno sociale e politico

La visita del Santo Padre presso la sede del Parlamento di Strasburgo ha riscosso vasti consensi, sinceri apprezzamenti. Il linguaggio della verità e della chiarezza, non quello della diplomazia, ha caratterizzato il discorso tenuto da Papa Francesco. Egli nell’evocare le radici cristiane dell’Europa caratterzzate da laboriosità, solidarietà, sacrificio ha criticato la forma di appagamento connessa alla sua opulenza. Non marginale è stato il richiamo all’accoglienza degli immigrati, e alla difesa dell’ambiente.
Il Papa nel mentre si soffermava a Strasburgo sulla spinosa questione della mancanza del lavoro e della disoccupazione, soprattutto tra i giovani, a Montecitorio si approvavano le nuove procedure per regolamentare i rapporti di lavoro (la montagna ha partorito un topolino piccolo, piccolo).
La Conferenza Episcopale Italiana qualche settimana fa, riunita ad Assisi, aveva anch’essa affrontato il drammatico capitolo della disoccupazione in età giovanile. Papa Francesco, con nettezza e senza perifrasi, ha ricordato ai deputati europei che bisogna restituire dignità al lavoro: “…Vi è poi tutto il grave problema del lavoro, soprattutto per gli alti livelli di disoccupazione giovanile che si riscontrano in molti Paesi – una vera ipoteca per il futuro – ma anche per la questione della dignità del lavoro”. Significando che il lavoro non è merce da comperare al supermercato.
Le preoccupazioni di Francesco non suonano nuove, rispecchiano la storia della dottrina sociale della Chiesa.
Leone XIII nel 1891 di fronte alle trasformazioni che stavano avvenendo nel mondo industriale avvertì l’esigenza di far sentire la vicinanza della Chiesa agli operai che più pativano ingiustizie e sfruttamento da parte dei proprietari delle industrie. Egli pose in primo piano il riconoscimento della dignità del lavoro, intuiva che le trasformazioni industriali di fine ‘800 pesavano in particolar modo sugli operai, uomini deboli e indifesi, considerata l’evoluzione che stava avvenendo nell’organizzazione della fabbrica. Un cambiamento epocale, che avrebbe visto finire lentamente la società agricola per lasciare il passo a quella industriale nascente. E allora, Papa Pecci sollecitato anche dall’operosità e dalla laboriosità di vasti settori del laicato cattolico, promulgò l’enciclica Rerum novarum, “delle cose nuove” (15 maggio 1891). In essa venivano riconosciuti dalla Chiesa il pensiero e i programmi del movimento cattolico-sociale. Essa è ancora oggi ritenuta un fondamentale pilastro della dottrina cattolica. L’enciclica condannava i riflessi sociali che stava producendo l’espansione del capitalismo industriale di fine secolo, con le sue trasformazioni economiche. Incoraggiava la costituzione di organismi sindacali operai, raccomandando che le relazioni con i datori di lavoro fossero improntate alla solidarietà cristiana. Auspicava che fosse necessario l’intervento dello Stato nei conflitti tra capitale e lavoro.
Leone XIII marcava una voluta distanza sia dal conservatorismo dei partiti liberali sia dall’atteggiamento eversivo e anticattolico dei socialisti. L’orientamento emerso dalla enciclica leonina aiutava i partiti e i sindacati, ispirati cristianamente, a diventare strumento concreto per un’azione politico-sociale. Dalla Rerum novarum parte l’esperienza dei partiti e dei sindacati cattolici in Europa, col precipuo compito di realizzare la collaborazione tra le classi, e non rapporti conflittuali e di lotta tra capitale e lavoro.
Il movimento politico dei cattolici, da Leone XIII in poi, acquisisce nuova linfa e nuove convinzioni di fronte alla società capitalistica e borghese a destra, e nei confronti del movimento operaio e del nascente socialismo a sinistra. L’enciclica censurava il peso eccessivo che veniva assegnato, fino all’idolatria, al denaro, al progresso, alla scienza, alla tecnica da parte delle teorie liberiste, positiviste e materialiste, ponendo in secondo piano il rispetto dell’uomo e della sua dignità.
Papa Francesco concludendo il suo discorso si è augurato che l’Europa ritrovi  lo spirito originario di solidarietà e di carità: “Auspico vivamente che si instauri una nuova collaborazione sociale ed economica, libera da condizionamenti ideologici, che sappia far fronte al mondo globalizzato, mantenendo vivo quel senso di solidarietà e carità reciproca che tanto ha segnato il volto dell’Europa grazie all’opera generosa di centinaia di uomini, donne – alcuni dei quali la Chiesa cattolica considera santi – i quali, nel corso dei secoli, si sono adoperati per sviluppare il continente, tanto attraverso l’attività imprenditoriale che con opere educative, assistenziali e di promozione umana. Soprattutto queste ultime rappresentano un importante punto di riferimento per i numerosi poveri che vivono in Europa. Quanti ce ne sono nelle nostre strade! Essi chiedono non solo il pane per sostenersi, che è il più elementare dei diritti, ma anche di riscoprire il valore della propria vita, che la povertà tende a far dimenticare, e di ritrovare la dignità conferita dal lavoro”.
Ricordare Leone XIII e ascoltare oggi Papa Francesco nel discorso di Strasburgo non cambia molto. Si potrebbe da qui ripartire, con questi contenuti, idee, programmi per costruire un partito ispirato cristianamente, ci sarebbe solo da organizzare le volontà per riportare luce, sostanza politica e di governo in un momento cupo, tanto difficile e di notevole disorientamento per gli italiani. Le esperienze politiche e sociali di Sturzo, Toniolo, Murri, De Gasperi e altri ancora furono possibili grazie alla Rerum novarum, stella polare, faro a cui guardare per cattolici e non. Sono ormai più di 120 anni, tante cose sono accadute da allora, un dato però ci induce a sperare: la giustezza dell’azione sociale e politica dei cattolici certificata nell’arco del XX secolo. Un nuovo cominciamento oggi è possibile, ci sono i presupposti per iniziare. Bisogna solo mettere in campo molto coraggio e avere tanta pazienza.

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