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Regionali, qualche appunto di… genere

Passata la buriana dello shock del “non risultato”, facciamo una riflessione profonda anche perché, il gruppo che ha un nome che è tutto un programma, “Accordo di democrazia paritaria”, si è dato appuntamento il 3 dicembre per un confronto sul “Sol dell’avvenir al femminile” e qualche cosa dovremo pur trovare che ci accomuna.
Cominciamo dal dato complessivo: nelle elezioni regionali dei record (per la prima volta il numero degli astenuti – 2,1 milioni – ha superato quello dei voti validi, 1,2 milioni; il 37,7% di affluenza registrato domenica è inferiore al picco negativo del 40,9% registrato alle regionali sarde; per la prima volta un presidente di Regione viene eletto con una percentuale inferiore al 50%) i vincitori sono i leghisti, che doppiano Forza Italia, cedendo solo l’1,7% alla sinistra e solo l’1,9% al Nuovo Centrodestra. Il risultato del Carroccio, è l’aver conservato il 65,9% dei voti che aveva conquistato alle europee, strappando voti a tutti gli altri.

Il partito che perde di più è il M5S: 284.480 voti ceduti all’astensione, il 69,2% del bottino europeo, con il 4,7% che va alla Lega e l’1,7% alla sinistra. Unica consolazione, il +25% rispetto alle regionali del 2010. Secondo si piazza il Pd, che ha conquistato due governatori su due, ma che consegna all’astensione quasi la metà del suo risultato europeo (il 49,6%), il 3,4% alla sinistra, alla Lega il 3,8% e al M5S l’1,7%. A conti fatti, Renzi ha confermato solo il 37,2% dei voti incassati alle europee. In Emilia Romagna, il Pd è passato da 1,2 milioni a 500 mila preferenze e peggio è andato in Calabria: 80% di voti in meno rispetto a maggio, oltre 82 mila preferenze in meno in termini assoluti.

Purtroppo, non siamo in grado di sapere ad oggi quante donne e quanti uomini hanno votato e già questo sarebbe un dato interessante che forse solo il Viminale ci può dare dopo che le prefetture –forse- li avranno forniti dettagliatamente. Tenteremo comunque di farci un’idea. Sta di fatto che, invece, abbiamo ben chiaro il risultato ottenuto nell’insieme dei voti espressi e di genere. un maschio su 9 è eletto, uno su 74 tra le donne. Alle Regionali, in Calabria, un abisso tra uomini e donne. Le leggi elettorali delle diverse regioni condizionano il risultato delle amministrative. La Calabria passa da zero a una consigliera, si arriva a quasi il 25% di elette in Emilia Romagna, ma tutte in due sole liste: Pd e M5S, che nel 2010 aveva eletto solo uomini. Nessuna donna con la Lega (ahinoi!), Forza Italia, Fratelli d’Italia, Sel e l’Altra Emilia Romagna (ex Tsipras). Pochi elettori, pochissime elette. In Calabria forse ce la farà anche la candidata presidente del centrodestra, Wanda Ferro, ma dipenderà dall’interpretazione della legge elettorale regionale. 348 candidati in Calabria. Di cui solo 74 donne, quasi tutte confinate nella parte bassa delle liste.

Il Pd in ogni provincia aveva solo una donna in lista, ma ha eletto 9 uomini. In Emilia Romagna su 507 candidati 242 erano donne. La Lega ha candidato 20 donne non eleggendone nessuna. Vero è che non tutte le regioni hanno gli stessi correttivi, in Calabria, a differenza che in Emilia Romagna, non è possibile votare con la doppia preferenza di genere, c’è solo una quota minima di donne nelle liste, che esclude dalla elezioni i trasgressori, così ogni lista punta più che altro a competere per vincere, tralasciando il valore della rappresentanza di genere. Il Pd talvolta ha fatto scelte opportunistiche e non ha eletto donne e forse la scarsissima partecipazione elettorale alle regionali va considerata assieme all’aumento di consensi di partiti come la Lega – che in Emilia passa da 5 a 9 uomini – perché nelle liste di destra è implicita la scarsa partecipazione femminile in quanto manca una visione ma soprattutto una cultura di genere.

Ed è altrettanto chiaro evidentemente sconfortante che ogni lista punta a vincere, tralasciando il valore della rappresentanza di genere. Ma è altrettanto vero che in Parlamento tra le politiche del 2008 e del 2013, la presenza di donne è passata dal 20,3% al 30,7%, grazie anche all’Emilia Romagna (44,8% di donne tra i parlamentari eletti). Molte alle europee di maggio: raddoppiate, dal 20 al 40%, le eurodeputate italiane. Il Pd ha scelto solo capolista donne e il M5S ha eletto 9 donne su 17 componenti della propria delegazione ma anche a Bruxelles la Lega ha solo uomini.
Dipende anche dagli statuti dei partiti per esempio, e i dati non sono confortanti. Il Pd ha nello statuto il 40% di donne nelle liste anche se non sempre riesce a rispettarlo, i Verdi arrivavano al 50%, i 5 Stelle invece, pur avendo candidato una donna alla presidenza dell’Emilia Romagna, portano avanti un discorso che si basa sulla parità di genere matematica nelle liste, ma senza attribuzione di valore.

Sta di fatto che o si trova una strada diversa che le dichiarazione “Facciamo rete, facciamo rete!” e poi non la facciamo oppure la situazione rimane – se non peggiore – uguale ai recenti anni. Infatti nei consigli eletti tra il 2010 e il 2013 le donne erano appena il 13%, la Calabria a zero e la Basilicata con un’eletta, la Puglia (5% pari a 4 elette) dove la legge elettorale non prevede nessun correttivo di genere e il Veneto (6,6% pari sempre a 4 elette). Poco sopra la media la Lombardia (il 18% con 15 donne). La Lega ha una consigliera in Veneto, tre in Lombardia. Allora che fare: basta convegni e parate ma blocco, lobby, squadra, con una capitana alla quale dare veramente fiducia sulla base di uno statuto con contenuti condivisi che ci impegniamo a portare avanti,trasversalmente, rispettando sicuramente i compagni di partito o di movimento o di alleanza ma,rifiutandoci di fare le suddite sottomesse.

Abbiamo davanti un tempo relativo ma da usare: la legge elettorale che si sta discutendo deve essere corretta. Con una mossa da vera maestra è stato approvato un emendamento che rafforza quel principio di parità nella rappresentanza tra donne e uomini, già espresso negli articoli 3 e 51 della Costituzione. L’emendamento (prima firmataria Valeria Fedeli, parlamentare Pd e vicepresidente del Senato) sancisce che le modalità di composizione del Parlamento promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza. Sia con il voto alla Camera sulla legge elettorale che ora con l’esame al Senato della Riforma Costituzionale, dunque ora le modalità di composizione del Parlamento promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza. Ma è necessario ritornare sulla formulazione del testo originario.

La mediazione trovata che è stata approvata a larghissima maggioranza e se pur accettabile comporta un passo in avanti poiché il nuovo Senato, formato da rappresentanti di Regione e Comuni, non potrà essere monosex. Anche le Regioni che hanno bocciato la doppia preferenza di genere (Puglia, Calabria, Sardegna, Abruzzo e Liguria), si ritrovano con leggi elettorali incostituzionali – e dovranno rivedere le norme. Per non parlare dei nuovi ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato che già hanno fatto bocciare giunte comunali e regionali col solo art. 51 della Costituzione, oggi con le nuove leggi elettorali dei Comuni, potranno ora puntare anche su questa norma. Ultima considerazione: per l’Italicum non basta candidare il 50% delle donne, per poi lasciarle a casa grazie alle liste bloccate. Dove magari i capilista sono tutti uomini o si alternano nei collegi 2 uomini e una donna, con la certezza che non sarà eletta. Grazie a questo emendamento, in Parlamento ci dovrà appunto essere equilibrio tra le elette e gli eletti, non solo tra candidate e candidati. Il lavoro avviato dalla commissione Affari costituzionali del Senato sulla legge elettorale, al di là delle utili scelte sulle soglie di sbarramento, deve necessariamente tenere conto di una corretta rappresentanza di genere.

Il testo uscito dalla Camera non risponde, infatti, a questa primaria esigenza per un Paese che voglia scrivere regole democratiche di rappresentanza. Non si può ignorare che le donne italiane non chiedono privilegi, ma una democratica presenza paritaria che non le escluda, a maggior ragione ora che sarà diminuito il numero dei parlamentari con l’abolizione del Senato, dal prossimo Parlamento che dovrà affrontare tutte le grandi riforme che incideranno in modo decisivo sulla vita delle donne italiane e delle loro famiglie. È necessario che governo e maggioranza procedano con serietà e determinazione per dare al Paese una buona legge elettorale introducendo le necessarie modifiche a un testo che deve giungere in tempi rapidi ad approvazione.

Ecco signore mie fare squadra significa serrare le fila su quello che vogliamo fare insieme e non separatamente. Impariamo a sostenerci veramente. L’occasione c’è sempre : Fedeli come prima firmataria ha presentato un disegno di legge al Senato per introdurre nelle scuole l’educazione di genere,un primo passo nella battaglia contro la violenza alle donne,da agosto ce lo chiede l’Europa in base alla convenzione di Istanbul. Sino ad oggi dal punto di vista della prevenzione alla violenza e per la parità di genere ci sono state sperimentazioni in alcune scuole, ma mai nulla di complessivo.

L’idea di fondo è che dalle elementari al liceo ci siano corsi che, dimenticando i luoghi comuni in primo luogo, rimandino ad un’idea di storia, letteratura e costruzione del mondo in cui si racconti anche il contributo delle donne. In questo modo si passa dall’infanzia in poi un messaggio di reale parità, nella diversità, di uguale contributo. In modo che nasca tra i ragazzi il profondo rispetto che porta al riconoscimento della libertà altrui di realizzarsi come forma di amore, invece del possesso come dimostrazione di affetto che porta alle violenze. Noi come Ministero del lavoro consigliera di parità segretariato generale, direzione attività ispettiva, sindacati e associazioni femminili Soroptimist, Croce Rossa italiana, Aidda, Bellisario, Tutteperitalia,coordinamento cug (Aran ecc) – abbiamo dato vita ad una tavolo di lavoro per implementare garanzia giovani in ottica di genere per l’occupabilità femminile giovanile) e abbiamo individuato 4 priorità su cui serrare le fila insieme a falange: la riforma del lavoro in itinere, diritti internazionali, lavoro, scuola, prevenzione/sicurezza. Strumenti antidiscriminatori per definizione poiché la libertà di una donna passa attraverso e prima di tutto sulla possibilità di entrare e restare nel mercato del lavoro.

Abbiamo la questione dei tanti ininfluenti organismi di parità: bisogna che vi sia una razionalizzazione e una riforma vera e propria poiché troppa confusione sui vari ambiti anche operata da una frenesia di un Dipartimento PO che su tutto vuole esserci senza avere spesso non solo le specifiche competenze, ma ingoiando gli spazi. Tutti non possono fare tutto e male. Sui temi del lavoro non si può disperdere le energie le competenze le alleanze sul territorio e a livello internazionale, quindi la Presidenza del Consiglio rimetta ordine alla materia e riconosca a chi sa fare il ruolo di promuovere politiche attive antidiscriminatorie all’interno della riforma del mercato del lavoro,magari puntando ad una vicinanza maggiore tra lavoro pubblico e privato, tutele alla lavoratrice madre, congedi parentali e strumenti di flessibilità tali da garantire maggiore produttività e bilanciamento nei tempi di vita che comprendono anche i tempi di lavoro.

Alle consigliere di parità competenti e veramente preparati, sia attribuita quella agibilità operativa che consente di sviluppare una rete nazionale e territoriale per il lavoro femminile, e non confondiamo le figure: le consigliere di fiducia con le consigliere di parità. Rappresento un gruppo di consigliere di parità che hanno una storia, un rango, concreta responsabilità. La politica non può non prenderne atto e agire coerentemente.

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