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Alberto Bagnai: ecco come l’Italia (secondo me) può farcela

Quello che continua a lasciarmi sbalordito è che, a fronte di un percorso che comporta rischi, ci si rifiuti graniticamente di valutare, di soppesare, opponendo un sorrisetto di sufficienza a chi segnala la necessità di soluzioni cooperative (come quella proposta dal «Manifesto di solidarietà europea»), che a priori vengono dichiarate impraticabili, mentre si sostiene però che «il primato della politica» saprà trovare il modo di tenere insieme l’«Europa», cioè la macchina degli squilibri, compito che i fatti certificano impossibile.

Questo atteggiamento è palesemente assurdo. Se i politici vorranno tornare a fare il loro lavoro, anziché sostituirsi agli economisti, ne saremo tutti ben lieti. Dato che il «vincolo esterno» per trent’anni li ha sollevati dal compito, forse saranno un po’ fuori esercizio, e ci permettiamo quindi di dar loro un suggerimento: cari politici, anziché esercitarvi nell’impossibile compito di costruire una solidarietà europea a valle di un progetto che genera squilibri, provate a costruire un consenso attorno a una mediazione che ci liberi da questi squilibri. La prima cosa non è successa, e abbiamo visto ad abundantiam come e perché. La seconda invece è accaduta, ad esempio nel 1993, e quindi, anche se oggi le condizioni sono diverse, forse vale la pena di esplorare questo percorso. In ogni caso, è giunto per tutti il momento di tenere ben separati i concetti di euro e di Europa: se si continuerà a identificarli, per sleale tatticismo politico, il risultato sarà un rigurgito di nazionalismo.

Epilogo: l’Italia può farcela. Va invece affermato che il rifiuto dell’euro, cioè dell’«Europa» tra virgolette, non è il rifiuto dell’Europa. L’argomento secondo cui non ci sono alternative non è un argomento. Da Adamo ed Eva in giù la storia pullula di «trattati» ripudiati, di scelte «irreversibili» spazzate via dalla logica degli eventi. Sentite come descriveva Keynes la situazione nel Regno Unito, dopo l’abbandono, il 21 settembre del 1931, dell’«irreversibile» sistema monetario a tallone aureo, il gold standard, con relativa svalutazione del 25% della sterlina:

Sono pochi gli inglesi che non esultano per la rottura delle nostre catene d’oro. Sentiamo di aver finalmente mano libera per fare ciò che è giusto. È finita la fase romantica, e possiamo cominciare a discutere realisticamente di quale sia la politica più opportuna. Può apparire sorprendente che un provvedimento che era stato dipinto come una catastrofe rovinosa sia stato accolto con tanto entusiasmo. Il fatto è che ci si è resi conto rapidamente dei grandi vantaggi per il commercio e per l’industria britannica derivanti dalla cessazione di ogni sforzo artificioso per mantenere la nostra valuta al di sopra del suo valore reale. (Keynes, 1931)

Vedete, cari politici del romantico «sogno europeo», che nel frattempo è diventato l’incubo del «non ci sono alternative»? È già successo, e quindi succederà di nuovo. A voi, se eventualmente mi state leggendo, e soprattutto se siete al governo, voglio ribadire un dato molto semplice. Nei prossimi anni, se non mesi, l’Italia si troverà a dover gestire o la bancarotta del proprio governo (pudicamente denominata «ristrutturazione del debito»), o l’uscita dal moderno gold standard. Keynes descrive quale sarebbe il clima se decideste rapidamente per la seconda opzione: un clima di entusiasmo e di rinascita. Io vi ricordo che, come la letteratura scientifica insegna, nessun governo sopravvive alla propria bancarotta. La vita (politica) è vostra, vedete voi cosa farne.

Quanto a me, quando leggo queste parole di Keynes, mi conforto nella certezza che la Storia non si arresta di fronte al delirio di élite ormai remote dalla realtà: se diffondiamo consapevolezza dei reali problemi e ci riappropriamo della nostra dignità di cittadini, l’Italia può farcela.

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