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Un Renzi berlusconiano stordisce pure Travaglio e Damilano da Mentana

Da “Bersaglio mobile”, ospite dell’omonima trasmissione televisiva de La 7, Matteo Renzi era nelle condizioni ideali per uscire ammaccato mercoledì sera dallo scontro con una coppia di Marchi – plurale di Marco – come quella di Damilano e Travaglio, chiamata per sparargli metaforicamente addosso da un Enrico Mentana pronto a soccorrerlo, nell’estrema evenienza, solo con qualche battuta ironica.

Le condizioni, dicevo, erano ideali. Fornite da una situazione economica ostinatamente negativa, che pratica contro il governo un’opposizione irriducibile; dalle cronache giudiziarie che hanno investito, nella Capitale e altrove, anche il partito del presidente del Consiglio e attori delle sue Leopolde fiorentine, e potrebbero toccare prima o dopo persino qualcuno dei commensali accorsi alle sue raccolte di fondi per le casse del Pd; dai fuochi di artificio, ma non tanto, appena scoppiati nei pressi del Senato per l’approvazione definitiva della tanto contestata delega al governo sulla riforma del mercato del lavoro, con la quasi soppressione del famoso articolo 18 del vecchio Statuto dei diritti dei lavoratori. Che ha per tanti anni disciplinato i licenziamenti nelle medie e grandi aziende in modo da scoraggiare gli investimenti. Damilano e Travaglio, per quanto ben vestiti e lucidati, sembravano reduci proprio dai fuochi d’artificio, e di più, spenti nelle strade che portavano al Senato.

Facevano parte delle condizioni ideali per accoppare il “bersaglio mobile” gli errori indubbiamente commessi dallo stesso Renzi alla guida del governo, come quei 10 miliardi annui buttati, senza aumentare i consumi, per i famosi ottanta euro mensili a chi ne ha già garantiti quasi 1500, continuando a lasciare in mutande i poveracci. O come l’abitudine di assegnarsi delle scadenze per poi rinviarle o diluirle. O come la pretesa di aggirare gli ostacoli fingendo di ignorarli: per esempio, continuando ad aspettare per pretese ragioni di “rispetto” personale e istituzionale la formalizzazione delle dimissioni preannunciate del presidente della Repubblica, anziché impegnarsi davvero a prepararne la successione. Il che comporterebbe l’accantonamento di questioni – tipo la riforma elettorale – capaci di complicare le cose, anzi di intorbidarle.

Sono gli errori, questi, che qui su Formiche.net si contestano a Renzi ogni giorno, ma che ai due Marchi convocati da Mentana hanno interessato di meno nell’assalto al bersaglio della serata. Glieli contestiamo con critiche che non ci impediscono tuttavia, per doverosa onestà professionale e umana, di riconoscergli il merito di essere uscito alla grande dalla prova con una coppia di avversari incautamente caduti nella tentazione di attaccarlo solo da posizioni di vecchia sinistra o dintorni, e di prendere le difese – come ha fatto, in particolare, Travaglio – delle ferie lunghe dei magistrati. Che pure rischiano, come lo stesso Travaglio si è compiaciuto di sostenere, di diventare ancora più lunghe a causa di norme scritte male. Il fatto è che le toghe – si sa – non si possono e non si debbono toccare per non rischiare di essere indicati d’ufficio come delinquenti.

Renzi, per sua fortuna, riesce a dare il meglio di sé quando accetta e ricambia, fuori e dentro il suo stesso partito, le sfide della vecchia sinistra massimalista e giustizialista. E, difendendo il diritto e il dovere elementari di dialogare con chi è disposto a farlo davvero, senza arroccarsi nella nicchia di una presunta superiorità o diversità addirittura morale, ha il coraggio di rimproverare al Travaglio di turno di avere vissuto troppo a lungo di comodo e vuoto “antiberlusconismo”. E di ricordargli, o annunciargli, che “questa stagione è finita”. Ne è cominciata un’altra nella quale può felicemente capitare a Renzi persino di ammettere il “bisogno di imparare” perché “non so tutto”, come gli è sfuggito di dire parlando della collaborazione appena avviata, e non retribuita, con Andrea Guerra, il ricco ex amministratore delegato della Luxottica.

Ah, che bel delfino di Silvio Berlusconi sarebbe stato l’ex sindaco di Firenze se avesse fatto parte della sua squadra. E se Berlusconi si fosse rassegnato davvero ad avere un delfino.

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