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Lady Macbeth a Bologna

Ci sono almeno due buone ragioni per recarsi a Bologna a vedere ed ascoltare Lady Macbeth del distretto di Mzensk di Dmitri Šostakovi , che nell’allestimento del Maggio Fiorentino nel 1998 ottenne il “Premio Abbiati” (l’Oscar italiano per il miglior spettacolo lirico) e viene proposta in una produzione dello Helikon Opersa di Mosca con la regia di Dmitrij Bertman.

La prima ragione è l’opera in sé stessa. La seconda è il modo in cui l’Helikon Operae dimostra che si può fare grande spettacolo anche a basso costo.
Al difficile rapporto che il compositore, pur profondamente marxista, ebbe con le gerarchie del partito Formiche.net ha dedicato un’analisi il 16 aprile 2013. Dmitri Šostakovi aveva circa 25 anni quando scelse un racconto di Nicolai Leskov come spunto per “Lady Macbeth”, una storiaccia di sesso e sangue in cui la protagonista, Katerina L’volna Izmailova, borghese di provincia mal ammogliata (con un imponente) e assatanata, uccide gli uomini che si porta sotto le lenzuola (suocero e marito), il figlio del cognato e anche la nuova fidanzata del suo amante durante una deportazione della coppia omicida – lei e il suo ganzo – verso la Siberia. Il libretto semplifica la vicenda ma soprattutto la legge con quello che Šostakovi chiamò il ‘realismo critico’, un verismo tinto di ironia.

Bell’uomo, donnaiolo, viveur nella San Pietroburgo che stava diventando Leningrado, Šostakovi si considerava un comunista doc. Non lasciò la Madre Russia (come Stravinsky, Prokofiev e altri) ai primi bagliori della rivoluzione, ma intendeva contribuire a essa con il suo talento. L’opera avrebbe dovuto essere la prima di una tetralogia dedicata alla donna russa, ovviamente alla donna post-rivoluzionaria, liberata sessualmente e politicamente. La “Lady” in fin dei conti uccideva due kulaki proprietari terrieri reazionari ed un gaglioffa (e la sua ultima donnaccia) in un mondo in cui la polizia era corrotta e i pope chiudevano, in cambio di una buona offerta alla questua, non uno ma entrambi gli occhi pure di fronte agli omicidi. Šostakovi era convinto di andare sul sicuro dato il successo di pubblico (e di critica “socialista”) della versione cinematografica di Ceslav Savinki in cui (si era negli anni della transizione tra “muto” e “parlato”) sangue, sbudellamenti e torture varie venivano accentuati.

La musica – ha scritto il compositore – era “fatta appositamente alla rovescia, in modo da non ricordare affatto la classica musica d’opera, da non avere nulla a che fare con il sinfonismo, con il linguaggio musicale semplice e comprensibile a tutti”. La “Lady Macbeth” venne rappresentata la prima volta il 22 gennaio 1934 a San Pietroburgo con un esito trionfale. L’opera varcò i confini dell’Urss e venne ripresa anche a Londra, Praga e Cleveland. A neppure un anno e mezzo di distanza dalla “prima”, se ne annunciarono messe in scena a Bruxelles, Parigi e New York. Nel gennaio del 1936 arrivò, attesissima, al moscovita Bolshoi.

La mattina del 28 gennaio, la Pravda pubblicò un editoriale non firmato, ma pare dettato dallo stesso Stalin, intitolato “Caos anziché musica nel quale si accusava l’opera di pornografia e cacofonia. Da allora (si era nel 1936) iniziò, per Sostakovic non ancora trentenne, un processo di isolamento che durò sino alla fine degli anni Cinquanta. Il compositore fu costretto a ritirare il lavoro, sua seconda e, per molti aspetti, ultima opera. Passò dal teatro alla musica, si buttò nella sinfonica per grande organico, nella cameristica e negli accompagnamenti ai film (eccezionale il componimento per un “Amleto”).

In un saggio su La Nuova Antologia (fascicolo di Ottobre 2013), formulai l’ipotesi che c’erano forse anche rivalità artistiche: la sera della prima, in palco con Stalin, c’era Molotov, parente e molto amico di Skjabrin , allora in forte competizione con Šostakovi nel mondo musicale russo.
Solo dopo la morte di Stalin, il compositore ritornò, moderatamente, all’innovazione. Nella tredicesima sinfonia introdusse la voce solista (su testi di Evtuscenko). Nel 1963 propose una nuova edizione della “Lady Macbeth”, spurgata, però, nel testo, nella partitura e anche nel titolo (diventato “Katerina Izamailova”): è questa la versione conosciuta in Italia, principalmente tramite tournée dell’Opera di Zagabria, di Lubiana e di Sarajevo a Napoli, Genova e nei circuiti della Lombardia e dell’Emilia-Romagna negli anni ’60 e ‘70. La “Lady Macbeth” del 1934 è riapparsa nel 1980 a Spoleto, nel 1987 a Trieste, nel 1992 e nel 2007 alla Scala e nel 1994, 1998 e 2008 a Firenze.

Cosa irritò Stalin? L’opera è senza dubbio violenta con scene di stupro e di sesso in palcoscenico, ma il film di Ceslav Savinki lo è ancora di più. Alcune scene (quella del commissariato e della corruzione diffusa tra le forse dell’ordine) si riferivano all’epoca zarista, ma probabilmente la situazione non era cambiata molto durante il comunismo. In un breve saggio scritto nel 2006, in occasione del centenario della nascita di Šostakovi , ho sostenuto che alla radice del divieto ci fossero due elementi: la rivoluzione musicale e il successo all’estero di cui Stalin era invidioso e perplesso in quanto dava al mondo un’immagine della Russia differente da quella propagandata dal Pcus.

Due parole sullo spettacolo a Bologna. Lo Helikon Opera , che alcuni anni fa ha portato alcuni spettacoli al Ravenna Festival, è un unicum nel panorama mondiale. Creato nel 1990 da Dmitrij Bertman (classe 1967) nella sala da ballo di un palazzo aristocratico moscovita ormai diroccato, da impresa puramente privata di un gruppo di giovani è ora sovvenzionato dal Comune di Mosca. Pur restando di piccole dimensioni è nel ‘quartiere dei teatri’. Ha circa cinquanta titoli in repertorio ed una compagnia stabile.

La Lady Macbeth in scena a Bologna è molto differente da quelle viste in precedenza in Italia. Una scena unica, costumi moderni, molto esplicita sotto il profilo sessuale, con tinte di ironia, mostra, come intendeva Šostakovi , che la protagonista è una vittima , la quale diventa una ‘serial killer’ per le violenze e le umiliazioni del mondo che la circonda, soprattutto di suocero, marito ed amante. Elena Michailenko è la protagonista; provocante come Marylin Monroe ha una enorme estensione vocale ed è una grande attrice. Aleksej Tichomirov è il suocero, satiro e sadico: un basso profondo come solo gli slavi hanno sul mercato. Dmitrij Ponomarev è il marito, breve parte per un tenore-lirico cappone. Ilija Houzi , bello e muscoloso è un tenore spinto con un bel timbro brunito. C’è un’altra diecina di solisti, tutti affiatati e chiaramente abituati alle rispettive parti. Dirige Vladimir Pomkin: fanno meraviglie l’orchestra e sopratutto il coro che deve cantare in russo ed anche ballare.

Vale senza esitazione un viaggio

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