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Ecco la vittoria culturale di Renzi con l’articolo 18 stile Jobs Act

Il Jobs Act Poletti 2.0 è legge dello Stato. La svolta vera sul piano giuridico la vedremo nei decreti delegati, a cominciare – in un ampio quadro di riordino del diritto del lavoro – da quello che regolerà il contratto di nuova istituzione con annesse le tutele in materia di licenziamento.

A meno che la montagna non partorisca il topolino, per quanto riguarda l’innovazione normativa e – ancor più – l’interpretazione giurisprudenziale. Ma la vita di una comunità, i suoi valori, l’assetto delle relazioni socio-economiche non si misurano soltanto riferendosi a quanto prevede l’ordinamento giuridico. Ecco perché, il dibattito che, in questi mesi, ha accompagnato l’iter legislativo del provvedimento ha già prodotto una trasformazione profonda.

Al di là delle formulazioni ancora generiche ed ambigue, al di là dei risultati che esse produrranno nella decretazione delegata, il Paese si è misurato con uno dei ‘’mostri sacri’’ del diritto del lavoro: l’idea che la promozione dell’occupazione coincida con la difesa ad oltranza del posto, anche quando sono stati i processi dell’economia e della tecnologia a sopprimerlo.

Più volte si è lamentato che il furore polemico espresso nel dibattito non trovasse comprensibili riscontri nei testi all’esame del Parlamento; che si parlasse di art.18, di reintegra, di indennità risarcitoria benché a quelle parole fossero riservati solo cenni generici e vaghi nelle formulazioni che ”facevano navetta” tra le due Camere.

E’ capitato persino che le forze contrarie al cambiamento avallassero con le loro critiche irriducibili e le loro proteste, interpretazioni radicali (sostenute dagli avversari favorevoli ad una profonda revisione della materia) le quali, tuttavia, rimanevano nel campo delle intenzioni, visto che le norme di delega erano e rimangono  aperte a diverse soluzioni.

Oggi, pur consapevoli del cammino che resta ancora da compiere e delle insidie che il Governo incontrerà, nella sua stessa maggioranza prima ancora che da parte delle opposizioni, siamo pronti a riconoscere che quel dibattito sopra le righe, quelle levate di scudi all’interno del Pd, gli stessi scioperi, generali o categoriali, al pari delle violenze di piazza, hanno rappresentato il vero valore aggiunto del Jobs act.

E’ sicuramente importante trovare soluzioni eque per sanzionare, nei casi più gravi, il licenziamento disciplinare ingiustificato con la reintegra o, normalmente, con la sola indennità risarcitoria. Il nodo da sciogliere, però, sta più a monte: nell’accettazione (o meno) sul piano culturale, prima ancora che su quello politico, dell’affermazione di Matteo Renzi: ‘’Il posto fisso è finito’’. Ed è un bene che i nemici del cambiamento siano scesi in campo al massimo del loro potenziale di iniziativa e di lotta, perché, come scriveva Marco Biagi nel suo ”editorialino” profetico, pubblicato postumo il 21 marzo 2001: ”Ogni processo di modernizzazione avviene con travaglio, anche con tensioni sociali, insomma  pagando anche prezzi alti alla conflittualità”.

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