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Ecco perché il Papa non vedrà il Dalai Lama

Scrive il Corriere della Sera che dall’entourage del Dalai Lama trapela una certa delusione. Il motivo è presto detto: oggi il leader religioso tibetano è a Roma, dove da domani si riunirà il XIV Summit dei Nobel per la pace, inizialmente previsto in Sudafrica ma spostato in Italia dopo che le autorità di Città del Capo negarono al Dalai Lama il visto. Naturalmente per non irritare il governo di Pechino e compromettere le relazioni finanziarie e commerciali con il gigante asiatico.

I TENTATIVI DELLA DELEGAZIONE TIBETANA

La delegazione tibetana avrebbe voluto un incontro con il Papa, tanto da presentare la richiesta alle autorità vaticane. Dalle quali, però, è arrivato un cortese ma fermo rifiuto. Lo stesso leader religioso buddista l’ha confermato: “Questa volta non incontrerò Papa Francesco, l’amministrazione del Vaticano dice che non è possibile perché potrebbero crearsi degli inconvenienti”. Nessuna polemica, però, anzi. Dal Dalai Lama solo parole buone per il Pontefice: “Apprezzo la semplicità di questo leader religioso, mentre ci sono altri leader religiosi che praticano la semplicità ma hanno una vita privata…”. Oltretevere si fa notare che neppure Benedetto XVI, dopo l’incontro dell’ottobre 2006, ricevette più il Dalai Lama, benché questi fosse presente a Roma sia nel 2007 sia nel 2009.

I RAPPORTI TRA IL VATICANO E PECHINO

Così, la Santa Sede stavolta si limiterà a inviare un messaggio del Papa al vertice dei Nobel, a firma del segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin. Nessuna scortesia da parte dal Vaticano, ma solo la volontà di non interferire nei delicati rapporti tra il leader tibetano e il governo cinese. Soprattutto, la segreteria di Stato vuole procedere con i piedi di piombo sul dossier cinese, consapevole che un pertugio (piccolo e fragile) s’è aperto nel muro di Pechino e che questo dunque va allargato. La parola d’ordine, quindi, è di evitare ogni possibile incidente che possa compromettere un dialogo sotterraneo che procede lentamente ma potrebbe dare nel medio periodo i suoi primi frutti. I segnali, d’altra parte, non mancano: lo scambio di impressioni con il presidente Xi Jinping, i messaggi per le reciproche elezioni, il permesso di sorvolare il territorio cinese in occasione del viaggio in Corea del Sud, i telegrammi spediti dall’aereo papale.

LA POSIZIONE CINESE

Scriveva lo scorso 23 novembre sul Corriere della Sera il professor Alberto Melloni che “per qualche ora su vari siti di informazione di Hong Kong è apparsa la notizia che un accordo Cina-Vaticano sulla nomina dei vescovi era imminente e che già a gennaio il negoziato in corso potrebbe portare a una accordo epocale sulla nomina dei vescovi. In due ore la polizia cinese ha ripulito quei siti da una notizia che ha fatto intanto il giro del mondo. Ma è proprio questa censura attivata a protezione del dialogo – aggiungeva lo storico emiliano –  che conferma che la cosa è vera, è seria e che la Cina non ha nessuna intenzione di lasciarla fallire per le indiscrezioni di qualche spiritello maligno e risentito”.

TRE GRUPPI DI “FRENATORI”

Ricordava, Melloni, come “da mesi sia in corso un dialogo diretto sino-vaticano” che progredisce, nonostante la sopravvivenza “di tre gruppi” che da sempre sono ostili a questo avvicinamento: “il cattolicesimo nobile e ideologicamente antagonista che vedeva e vede la maturazione di un dialogo come la sconfessione dell’anticomunismo di chi ha sofferto della repressione antireligiosa di mezzo secolo”, è il primo gruppo. Ci sono poi “gli ideologi di un comunismo dottrinario che non vogliono concedere libertà che implichino una riduzione della presa del partito sulla società”. Infine, il ruolo per nulla disinteressato di quei “sedicenti mediatori” che hanno “generato confusione”.

LA LETTERA AI CATTOLICI CINESI DEL 2007

In realtà, notavano altri osservatori, è meglio rimanere con i piedi per terra, perché quel genere di notizie sui siti di Hong Kong è apparsa a più riprese nel corso degli anni, salvo poi non aver portato mai a nulla. Di certo, un ruolo fondamentale ce l’ha il segretario di stato Parolin, grande conoscitore della realtà dell’estremo oriente: è in gran parte suo il merito del riavvicinamento tra Vaticano e Vietnam ed è sempre lui ad aver avuto nel 2007 un ruolo di primo piano nell’estensione della Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI.

LA PRIORITA’ ASIATICA 

Parolin, dunque, appare l’uomo adatto a tessere sottilmente e al riparo dei riflettori quella trama di rapporti che potrebbe portare, un giorno, il Papa a stabilire relazioni ufficiali con Pechino, capitale di un Paese che potenzialmente potrebbe avere nei prossimi decenni il più alto numero di cattolici al mondo. E non è un mistero che al centro della missione evangelizzatrice di Francesco ci sia l’Asia. A confermarlo, ci sono le cifre dei suoi viaggi: quando ancora non saranno stati “festeggiati” i due anni di pontificato, sarà stato per ben due volte in quel continente (Corea del Sud, Sri Lanka e Filippine).

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