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L’enigma del petrolio

Adesso è colpa del petrolio se i prezzi calano, non bastassero i problemi che abbiamo a causa della nostra economia asfittica, che quindi fa calare i prezzi del petrolio perché è calata la domanda, però il petrolio è anche sovrapprodotto e perciò calano i prezzi, che fanno calare l’inflazione, che fanno aumentare i tassi reali, che quindi appesantiscono i debiti, che perciò l’economia è asfittica, e tutta la manfrina che ormai ci ripetono senza sosta senza neanche comprendere che siamo tutti vittime di parallassi logiche che finiscono col celare la sostanza del problema.

La Bce non sfugge al coretto. Nel suo ultimo bollettino mensile, ultimo in tutti i sensi visto che dal 2015 uscirà due settimane dopo le riunioni del consiglio direttivo, che si terrà ogni sei settimane, quindi il bollettino uscirà ogni due mesi (ma non potevano chiamarlo bollettino bimestrale?), la Banca centrale europea dedica un interessante riquadro all’analisi degli effetti indiretti dell’andamento del petrolio sull’inflazione nell’area.

Qui leggo che “attraverso la componente energetica dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC), l’evoluzione delle quotazioni del greggio ha fornito un contributo rilevante al calo dell’inflazione complessiva misurata sullo IAPC a partire dalla fine del 2011″.

Tali effetti sono stati sia diretti che indiretti. I primi sono quelli che il livello dei prezzi subisce attraverso l’impatto diretto dei corsi petroliferi sui prezzi al consumo dell’energia. Gli effetti indiretti sono quelli che l’andamento dei prezzi del petrolio ha sui prezzi di produzione.

Per farvela semplice, i corsi del petrolio impattano sui prezzi tramite il prezzo alla pompa, ma anche sul prezzo dei beni di consumo che si servono del petrolio per essere prodotti. Più le produzioni fanno uso di petrolio, più saranno sensibili al cambiamento dei prezzi del greggio. Lo stesso ragionamento vale per i prezzi del trasporto, sia di beni che di persone, anch’esso evidentemente sensibile al costo dell’energia.

Altrettanto indiretti sono gli effetti che i corsi petroliferi svolgono tramite i beni importati. Se si importa da paesi che producono con alta intensità di petrolio, un calo del greggio fa diminuire i costi di produzioni di queste economie esterne e tale diminuzione viene importata all’interno dell’area insieme ai beni.

Tutto ciò fa concludere alla Bce che “sia i prezzi alla produzione dei partner commerciali dell’area dell’euro, che influenzano i prezzi all’importazione dell’area, sia i prezzi alla produzione dei produttori dell’area per l’economia interna, tendono a seguire con qualche ritardo l’andamento dei corsi petroliferi”.

Quindi il petrolio ha un peso relativo importante sull’andamento dei prezzi. Talmente che la Bce ha provato a quantificarlo. Ne ha tratto a stima che “i prezzi del greggio hanno contribuito per circa 0,6 punti percentuali al calo dello 0,9 per cento dell’inflazione armonizzata al netto di energia e alimentari dalla fine del 2011″.

Evito di approfondire poiché non sono un fanatico delle supercazzole econometriche. Mi contento di farmi/vi una semplice domanda: visto che il petrolio è così importante, cosa ne determina i prezzi?

Come contributo alle vostre riflessioni mi contento di raccontarvi un utilissimo grafico, che ho tratto sempre dall’ex bollettino mensile della Bce, che illustra l’andamento dei principali prezzi delle materie prime dal 2008 al 2013, in particolare del petrolio Brent e delle materie prime non energetiche.

Bene. A inizio 2008 il Brent quotava intorno ai 100 dollari al barile. L’11 luglio toccò il record storico di 147. Poi però il 16 ottobre era già crollato a poco sopra 80. Significa un calo di circa il 45% in tre mesi.

Ripeto la domanda, precisandola meglio: cosa determina i prezzi del petrolio e ha la capacità di farli mutare così rapidamente in così poco tempo?

All’epoca fu una grande sveglia per i mercati.

Goldman Sachs, per dire, che sulle previsioni (quasi sempre sbagliate) sul petrolio si è guadagnata una invidiabile nomea disse, in quel disgraziato autunno del 2008, che per l’anno successivo i prezzi difficilmente avrebbero superato gli 86 dollari medi al barile.

Ricordo però che nella primavera del 2008 Arjun N. Murti, analista di Goldman Sachs che si fece una reputazione annunciando a marzo del 2005 che il prezzo del petrolio sarebbe arrivato oltre i cento dollari, vide nella sua personale palla di vetro le quotazioni del greggio proiettate addirittura fino a 200 dollari al barile.

E invece all’inizio del 2009 avevano già raggiunto i 40 per tornare a 80 solo alla fine dell’anno.

Perciò: cosa determina che il prezzo del petrolio possa passare in cinque mesi da 147 dollari a 40? Ah, già: la crisi, la sovrapproduzione, la scarsa domanda, le divisioni nell’Opec, e tutte queste belle storielle.

Osservo estasiato il grafico della Bce e noto che la curva del crollo del Brent è perfettamente sovrapposta a quella del crollo delle materie prime non energetiche, dall’estate del 2008. Evidentemente ciò che ha fatto crollare il petrolio ha fatto crollare anche le altre commodity. Ma che sarà mai? Ah certo: sempre la crisi.

Mi chiedo cosa sia questa crisi.

Poi osservo che dopo l’impennata del 2009, quando il Brent arriva appunto a 80 dollari dai 40 d’inizio d’anno, il future (non ve l’avevo detto che le quotazioni del Brent avvengono sostanzialmente tramite future?) vivacchia per tutto il 2010 portandosi solo nella parte finale dell’anno intorno ai 100.

E’ l’inizio di una lunga cavalcata che procede in sintonia con l’allentarsi monetario angloamericano e che porta il Brent (non ve l’avevo detto che il Brent è il petrolio del mare del nord che quota i prezzi per circa il 60% della produzione globale?) oltre i 120 dollari nel 2011.

Nel frattempo i prezzi delle materie prime non energetiche sono letteralmente esplosi. L’indice (2010=100) arriva a quota 160 nel 2011, quindi il 60% in più a fronte del 20% in più del Brent. Ma altrettanto rapidamente le commodity ritracciano, arrivando a fine 2011 al livello del 2010, come peraltro anche il Brent. Che a metà del 2012 torna di nuovo sotto i 100 dollari.

Mi dico che evidentemente all’epoca le materia prime non dovevano essere di moda.

Poi però è ripartita l’andata rialzista. Ai primi del 2013 il petrolio stava già sui 110 dollari e il solito analista Goldman, stavolta Jeff Currie, chief commodities strategist, con grande sprezzo del ridicolo disse il 18 gennaio che si aspettava il barile a 150 dollari entro l’estate.

Ma come: e la crisi? E la sovrapproduzione provocata dagli scisti bituminosi (questa è l’ultima innovazione del mainstream)?

Fatto sta che dopo il picco di inizio anno il petrolio tornò a 105 dollari e lì rimase per tutto il 2013 e per buona parte del 2014, prima che, improvvisamente, iniziasse il suo declino, rapido e improvviso e continuo.

Ma la crisi non c’era anche un anno fa? E gli scisti? E le tensioni geopolitiche?

“Le quotazioni del greggio di qualità Brent si sono collocate a 71 dollari al barile il 3 dicembre, un valore inferiore di circa il 35 per cento a quello di un anno prima”, nota sconsolata la Bce. E peraltro i prezzi sono calati ancora.

E come lo spiega? “Tale flessione rispecchia il fatto che i livelli dell’offerta di petrolio hanno superato quelli della domanda. Nonostante i conflitti in Libia e Iraq, i paesi dell’OPEC hanno prodotto in quantità superiore all’obiettivo ufficiale del gruppo, mentre la produzione dei paesi non appartenenti all’OPEC è aumentata sulla scia dello sfruttamento di petrolio da scisti da parte degli Stati Uniti. Al contempo, la domanda di petrolio è rimasta debole in parte per effetto di un rallentamento del settore industriale cinese. In prospettiva, gli operatori nei mercati dei future si attendono quotazioni petrolifere appena più alte nel medio periodo: i contratti future sul Brent con scadenza a dicembre 2015 sono quotati a 76 dollari al barile”.

Cosa determina perciò il prezzo del petrolio?

Chi conosce la risposta all’enigma diventerà un oracolo.

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