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I gesuiti e la globalizzazione. Parla John J. Degioia (Georgetown University)

La Georgetown University di Washington da oltre 200 anni rappresenta nel cuore del centro politico americano lo spirito di dialogo interculturale e interreligioso dell’Ordine dei Gesuiti, e tramite il Berkley centre for religion, peace and world affairs, essa è attiva nella ricerca di soluzioni alle sfide internazionali nel campo della pace, dei diritti umani e dello sviluppo, con un occhio di riguardo per il ruolo che i Gesuiti possono svolgervi.

Il presidente della Georgetown University, John J. Degioia, in visita a Roma pochi giorni fa, ha parlato con Formiche del ruolo della sua istituzione nella formazione della classe dirigente del futuro e dell’impegno profuso nello studio e nella comprensione delle dinamiche della globalizzazione.

Presidente Degioia, qual è il ruolo della Georgetown University in un mondo globalizzato?

Come università ci impegnamo nella formazione dei giovani e offriamo un contesto in cui crescere e studiare. Cerchiamo di contribuire così alla creazione del bene comune e alla comprensione reciproca. La nostra attività è caratterizzata da tre elementi: la formazione, la ricerca e la creazione di un bene pubblico. Si tratta di elementi strettamente interrelati tra loro e che si rinforzano reciprocamente; essi definiscono la nostra missione e sono il nostro obiettivo. In particolare, la Georgetown University cerca di attualizzare il significato di questi tre elementi e cerca di capire come essi si inseriscono nel mondo attuale.

Quali sono le conseguenze della globalizzazione?

Abbiamo identificato la globalizzazione come il maggior elemento che impatta il nostro mondo. Concordiamo con l’affermazione di Anthony Giddens secondo il quale la globalizzazione sta rimodellando la nostra vita. A riguardo mi chiedo: siamo davvero contenti e soddisfatti di quello che abbiamo? Oppure c’è qualcosa che dovremmo cambiare? Se analizziamo il mondo di oggi, infatti, ci sono molte sfide da affrontare. Uno dei punti di discussione della conferenza alla Pontificia Università Gregoriana è stato proprio quello di capire fino a che punto la globalizzazione ha condotto verso alcune delle sfide che siamo chiamati ad affrontare oggi.

Di quali sfide parla?

Parlo della crescente disuguaglianza, della violenza che vediamo e viviamo quotidianamente, delle minacce al nostro pianeta; ci sono poi molti paesi in cui il livello di disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli preoccupanti. Parlando del fenomeno migratorio, in alcune parti del mondo, tra cui gli Stati Uniti, la libertà di circolazione è messa in discussione. In altre assistiamo in modo sempre maggiore all’impatto del global warming; non è un segreto che, oltre alle conseguenze della guerra in corso, la Siria abbia dovuto fare i conti con una delle siccità più tremende della storia recente. Acqua, cibo, disoccupazione, circolazione…sono queste le sfide che cerchiamo di analizzare fin nel profondo, per essere capaci di capire le dinamiche della globalizzazione e fino a che punto essa sia la causa di quanto sta succedendo nel mondo.

Qual è il messaggio che Papa Francesco manda al mondo?

Ci sono molti messaggi carichi di significato, ma ce n’è uno che ricopre un ruolo molto importante e che ha a che fare con la creazione della persona (people building). Dobbiamo capire qual è la nostra responsabilità reciproca e impegnarci insieme in questo lavoro. Per fare ciò, crediamo che esistano nuovi progetti, nuovi modi di organizzare le nostre vite e il nostro lavoro insieme al fine di contribuire al bene comune e del prossimo. Quando si parla di creazione della persona, penso che, in quanto individui, apparteniamo a comunità, abbiamo delle identità. Dobbiamo quindi rafforzare la consapevolezza che apparteniamo a qualcosa, per poter andare oltre le transazioni economiche e le normali modalità in cui organizziamo la nostra vita insieme. Dobbiamo contribuire al progetto comune di costruzione reciproca di ogni singola persona e dobbiamo farlo insieme. Questo è il progetto che Papa Francesco ci invita a realizzare.

Considerando tutte le differenze che ci sono oggi nel mondo, quanto è importante il dialogo interreligioso?

Come comunità universitaria dedichiamo molto a questo lavoro. Abbiamo infatti creato molte strutture istituzionali interne per rinforzare il dialogo interreligioso. Quindici anni fa siamo stati la prima università americana ad avere un imam a tempo pieno all’interno della nostra struttura e ben quarantotto anni fa abbiamo inserito nel nostro organico un rabbino. Da venti anni abbiamo un centro per la comprensione tra mondo cristiamo e mondo musulmano e abbiamo attivato anche un programma di studio della civiltà ebraica. Siamo centro di eccellenza per gli studi islamici e della lingua araba e abbiamo un Centro per la religione, la pace e gli affari globali (Berkley centre). Tutte queste risorse ci permettono di rinforzare il dialogo tra le religioni, attività molto importanti per due motivi: da una parte la religione può essere fonte di conflitto, ma da un’altra prospettiva le nostre tradizioni religiose sono la risorsa più grande che abbiamo per affrontare i conflitti e risolverli. In questo senso, la Geogetown University cerca di liberare tutte le potenzialità delle religioni per farle diventare forze del bene nel nostro mondo.

 

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