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Sony Hack, vi spiego perché la Cina non può bistrattare la Corea del Nord come vorrebbe l’America

Due giorni dopo la decisione dell’Onu di discutere il deferimento del regime nordcoreano al tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità, hacker appartenenti secondo l’FBI al gruppo nordcoreano “Guardiani della Pace” hanno effettuato un massiccio attacco cibernetico contro la casa cinematografica USA “Sony Pictures”, causandole notevoli danni. Hanno minacciato attacchi contro le sale cinematografiche che avessero proiettato il film di fantapolitica “L’intervista”. In esso s’ipotizza, in termini scherzosi, un complotto per uccidere il dittatore nordcoreano Kim Yong-un, noto per la sua ridicola capigliatura e per aver eliminato brutalmente lo zio, Yang Song Thaeck, capo della fazione filocinese di Pyongyang.

La Sony Pictures ha ritardato l’uscita del film, programmata per Natale. E’ stata per questo rimproverata da Barack Obama, con toni insolitamente duri, per aver ceduto al ricatto di ulteriori attacchi, minacciati dai “Guardiani della Pace”. Una grande impresa di una grande potenza – ha detto il presidente americano – non può cedere, quando sono in gioco principi fondamentali della democrazia, come la libertà di espressione. Lo Stato deve proteggere le sue imprese e i suoi cittadini. Cosa deciderà di fare Obama è difficile dirlo. La Sony si è giustificata in modo alquanto contraddittorio. Dapprima, ha affermato di aver informato la Casa Bianca che intendeva ritardare l’uscita del film. Poi, ha detto che le sale cinematografiche si erano rifiutate di proiettarlo, temendo di essere sottoposte ad attacchi cibernetici.

Dal canto suo, la Corea del Nord ha negato ogni responsabilità, proponendo provocatoriamente agli USA un’inchiesta congiunta e criticando i metodi e le tecniche seguite dall’FBI. Washington non ha dato risposta a tale proposta. Ha chiesto invece la collaborazione di Pechino per impedire nuovi attacchi informatici da parte degli hackers nordcoreani e per indurre il governo di Pyongyang a indennizzare la Sony per i danni subiti. Al momento in cui scriviamo, Pechino non ha ancora risposto alla richiesta di collaborazione da parte degli USA. Difficilmente potrà darne una del tutto positiva. Anche se i rapporti sino-americani sono recentemente migliorati, la Cina non può umiliare la Corea del Nord. Rischierebbe d’indebolirne il già debole regime. Non può neppure dire che gli USA hanno torto. L’economia cinese ne soffrirebbe. Manterrà una posizione di mezzo, cercando di gettare acqua sul fuoco. Questi i fatti.

La questione solleva diversi interrogativi. Che cosa possono fare gli USA per rispondere a un attacco diretto contro una loro corporation, che inoltre lede un principio fondamentale, quale la libertà di espressione? Poi, perché la Cina ha le mani tanto legate nei confronti di un regime tanto screditato in tutto il mondo, eccetti agli occhi di qualche parlamentare italiano, che lodando il regime nordcoreano si è coperto di ridicolo? Infine, è vero che il ciberspazio è divenuto il nuovo campo di battaglia, terreno di lotta nelle guerre “asimmetriche”, recentemente ribattezzate “ibride” dai Think Tanks strategici americani?

Gli USA possono fare ben poco. L’hanno dimostrato nel caso della proliferazione nucleare e missilistica della Corea del Nord. Non possono ricorrere all’opzione militare. Essa comprometterebbe inevitabilmente i loro rapporti con la Cina e anche con la Corea del Sud. Non se lo possono permettere. Passerebbero dalle parti del torto. I loro alleati non permetterebbero loro di inasprire le tensioni nel sistema Asia-Pacifico.

Anche la Cina ha le mani legate. Beninteso, potrebbe bloccare ulteriori attacchi cibernetici nordcoreani, poiché l’intero sistema di telecomunicazioni della Corea del Nord, Internet compresa, passa dal territorio cinese. Ma, così facendo, rafforzerebbero la fazione anti-cinese esistente a Pyongyang. E’ logico che non lo facciano, anche se sono l’unico protettore economico e politico della cupa dittatura della famiglia Yong. Non possono permettersi di destabilizzarla. Rischierebbero l’afflusso dal fiume Yalu di milioni di nordcoreani affamati. Preferirebbero certamente che Pyongyang fosse meno brutale all’interno e meno aggressivo e imprevedibile all’esterno. Sanno però anche che deve esserlo per mantenere uniti i suoi sostenitori. Può permetterselo perché Pechino non può fare a meno di sostenerlo. Infatti, le è necessario.

La Corea del Nord costituisce per la Cina un importante paese-cuscinetto. Blocca la via di penetrazione più facile verso il suo cuore, che è protetto nelle altre direzioni da deserti, montagne e giungle. Qualora l’attuale regime cadesse, l’unificazione dell’intera penisola, sotto Seul, alleato degli USA, diverrebbe inevitabile. L’equazione strategica della sezione nordorientale del sistema Asia-Pacifico si modificherebbe ai danni della Cina. Pechino ha dimostrato spesso di essere irritato per le intemperanze e per l’aggressività del regime di Pyongyang. Esse formalmente giustificano il riarmo del Giappone e lo schieramento di antimissili americane in Asia orientale. E’ probabile che alla richiesta americana vengano date da Pechino risposte solo dilatorie, in attesa che tutti si dimentichino della cosa e che Obama si “cucini nel proprio brodo”.

In ultimo, l’attacco cibernetico alla Sony non rappresenta la nascita di un nuovo tipo di guerra. Alle tradizionali dimensioni strategiche – terra, mare e aria – si sono aggiunti il ciberspazio e lo spazio extra-atmosferico. Il diritto internazionale non prevede attacchi nel ciberspazio. Se si è soggetti a un attacco cibernetico, come quelli verificatisi in Georgia e in Estonia, non si può bombardare, invocando il diritto di autodifesa. Inoltre, per sua natura, un ciber-attacco è difficilmente imputabile a uno Stato, e non lo sarà mai in modo inequivocabile. I guerrieri cibernetici possono essere anche hackers organizzati in reti autonome o civili mobilitabili dai governi. Nel caso particolare, gli USA non possono scatenare una controffensiva cibernetica massiccia sulla Corea del Nord. Solo la Cina potrebbe dare loro una mano, a esempio minacciando di diminuire le esportazioni alimentari ed energetiche verso Pyongyang, senza però esagerare, per non destabilizzare il regime.

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