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2014. La grande fuga dall’economia reale

Inutili tanti discorsi: nel 2014, l’emorragia di risorse che ha colpito l’economia reale italiana è stata ancora più grave rispetto al 2013. Penalizzata da oltre trent’anni dal servizio di un debito pubblico straordinariamente elevato, è ormai priva anche del sostegno del credito bancario. Il nuovo risparmio si è finanziarizzato, allocandosi praticamente tutto all’estero. Di reinvestire nell’economia reale non se ne parla. Bastano pochi numeri.

I dati relativi al Canale Tesoro dimostrano che gli interessi sul debito pubblico determinano un onere insostenibile per il sistema economico: nel 2014 è stato di 76,7 miliardi di euro (pari al 4,7% del Pil). Il solo saldo primario della PA, che consiste nella differenza tra le entrate e le spese al netto degli interessi, è stato di 27,4 miliardi di euro (1,7% del Pil): rappresenta la somma prelevata con la tassazione che non viene reimmessa nel circuito economico attraverso la spesa. Con i Quantitative easing negli Usa, in Gran Bretagna ed in Giappone, le rispettive Banche centrali hanno acquistato titoli pubblici di cui retrocedono al bilancio gli interessi percepiti: al di là della liquidità immessa nell’economia reale, è questo il beneficio maggiormente rilvante per i bilanci pubblici. Al saldo primario, occorre poi aggiungere le risorse destinate al sostegno finanziario dei Paesi in crisi.

I dati relativi al Canale bancario e finanziario dimostrano che non tutti i depositi bancari delle famiglie e delle imprese ritornano all’economia reale in termini di credito: nel 2014 (dati a novembre), la differenza tra depositi da clientela interna ed impieghi a favore di famiglie ed imprese è stato di ben 155 mld di euro. La raccolta bancaria dalla clientela residente si è ridotta (-21,1 miliardi) ed anche la raccolta estera è risultata in calo (-17,8 miliardi), ma gli impieghi bancari a favore del settore pubblico si sono mantenuti quasi stabili (-3 miliardi): nel complesso, ne è derivata una ulteriore riduzione del credito al settore privato (-39,8 miliardi). Tra i depositi della clientela domestica ed i prestiti al settore privato, il gap si è allargato ancora: -155 mliardi di euro nel 2014, rispetto ai -138,1 miliardi del 2013. Meglio non parlare della qualità della raccolta bancaria, sempre più liquida: un disincentivo ulteriore rispetto ad impieghi a medio-lungo termine.

Ben diverso è stato l’anadamento dei Fondi che raccolgono e gestiscono il risparmio: la loro raccolta netta è stata di 119,7 miliardi (7,3% del Pil). Sugli impieghi, è impervio stimarne la destinazione: si può comunque rilevare che in questo stesso periodo è aumentata di 17,9 miliardi la detenzione in titoli di Stato italiani da parte delle “Altre istituzioni finanziarie residenti” e che si sono incrementate di 100,6 miliardi le “Attività all’estero”.

Attraverso il Canale estero si rilevano quante risorse sono affluite all’economia dall’estero, per merito del saldo attivo degli scambi commerciali, e quante sono state impiegate per acquisizioni finanziarie all’estero e dall’estero. Il saldo netto delle partite correnti a fine ottobre, considerando il valore cumulato nei 12 mesi precedenti, è stato attivo per 27,3 miliardi di euro, con un miglioramento di 13,8 miliardi rispetto all’ottobre 2013, quando nei 12 mesi precedenti il saldo era stato positivo per 13,5 miliardi. Il debito estero lordo, che rappresenta le passività non azionarie verso l’estero, è arrivato a 1.943,8 miliardi di euro, con aumento di 32,8 miliardi rispetto alla fine del 2013. Mentre si è ridotto significativamente il debito della Banca d’Italia verso la Bce (-73,6 miliardi), il debito pubblico italiano in mani straniere è tornato ad aumentare(+111,4 miliardi): ad ottobre è arrivato a 804,2 miliardi rispetto ai 692,8 di fine 2013. Si è riportato così, in valori assoluti, ai livelli di fine 2010, quando risultavano sottoscritti da non residenti 802 miliardi di debito pubblico. Gli italiani, nel 2014, hanno investito sempre di più oltre frontiera: l’aumento delle attività all’estero è stato, come già rilevato, di 100,6 miliardi di euro. La posizione italiana netta verso l’estero è conseguentemente migliorata di 4 miliardi. L’economia italiana si finanziarizza, investendo prevalenemente all’estero.

In totale, nel 2014 non sono stati reimpiegati nell’economia reale ben 205,7 miliardi di euro, una somma pari al 12,6% del PIL Il trend è peggiorato rispetto al 2013, quando il mancato reimpiego era stato di 136,2 miliardi di euro (8,4% del Pil).

Quattro considerazioni e una conclusione.

Canale Tesoro. In Italia, la finanza pubblica ha continuato a drenare cifre imponenti dalla economia reale per il pagamento degli interessi sul debito pubblico, anche se nel corso del 2014 si è registrato una tregua prolungata sui mercati finanziari che ha consentito di tenere sotto controllo la dinamica degli interessi. Il debito pubblico continua a crescere però ad una velocità superiore a quella del Pil nominale, tendendo per questa via a percorrere una dinamica insostenibile.

tabella a

Canale bancario e finanziario. Il sistema bancario ha continuato a perdere appeal presso i risparmiatori, con conseguenze negative sul finanziamento dell’economia reale: gli impieghi nel settore privato a fine 2014 sono stati inferiori di 138,7 miliardi (-8,5% del Pil) rispetto alla fine del 2011. Nonostante tutto, rispetto ad allora, la raccolta è diminuita solo di 25,9 miliardi (-1,6% del Pil). Il debito pubblico ha spiazzato il credito privato: questa è il frutto di una gestione miope ed assurdamente punitiva per l’economia reale della crisi dell’Eurozona. Le banche ora stanno pure pagando pesantemente per la crisi dell’economia reale, visto l’andamento delle sofferenze. La dinamica della raccolta da parte dei Fondi conferma la tendenza alla debancarizzazione del risparmio e purtroppo alla finanziarizzazione degli impieghi: l’accesso delle piccole e medie imprese alle risorse gestite dai Fondi è ancora limitatissimo. Si è chiuso il tradizionale canale del finanziamento bancario delle imprese prima di avere messo a regime quello nuovo.

tabella b

Canale estero. Il settore produttivo votato all’export ha registrato una eccellente performance, con un attivo della componente commerciale ampiamente superiore a tre punti percentuali di Pil. In Europa, solo la Germania sa fare meglio. Aumentano sia gli investimenti dall’estero, soprattutto quelli finalizzati all’acquisto del debito pubblico, sia gli investimenti finanziari italiani all’estero: si bilanciano, compensandosi.

tabella c

Conclusione. Nonostante la pressione fiscale, le difficoltà burocratiche e le proclamate rigidità del mercato del lavoro, l’attivo commerciale sull’estero dimostra che non esiste un problema di competitività produttiva, bensì di organizzazione pubblica e di allocazione delle risorse finanziarie. Se l’economia reale non cresce è per colpa di due inefficienze speculari, quella dell’amministrazione pubblica e quella della intermediazione finanziaria. La prima è lenta, aggrovigliata, incapace di modernizzarsi, così come la seconda non è mai saputa andare oltre i prestiti commerciali ed i mutui immobiliari. La riduzione del costo del lavoro e la flessibilità in uscita sono le àncore di salvezza per coloro che vogliono lo status quo: sono le uniche riforme strutturali che garantiscono la continuità.

tabella d

Produrre è faticoso, intraprendere è rischioso, lavorare stanca: non sono novità. Per arricchirsi, c’è anche il mondo della finanza. Agli stranieri interessa soprattutto il nostro debito pubblico: più che l’industria, il turismo o il Made in Italy, il vero ruolo dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro sembra quello di assicurare una generosa rendita finanziaria annuale. Il risparmio italiano è sempre più appetibile ed ha altrettanto appetito: finita la lunga epoca in cui è stato destinato prevalentemente all’investimento immobiliare, ora non casualmente penalizzato da una micidiale tassazione, è ormai libero e disponibile per qualsiasi avventura.

Non è più solo il saldo primario del bilancio pubblico a drenare risorse all’economia reale. Nel 2014 si è accelerata la tendenza alla debancarizzazione del risparmio ed alla finanziarizzazione degli impieghi, allocati all’estero. Se il Pil italiano continua a calare, una ragione c’è.

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