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Norme anti terrorismo, chi ha inguattato il decreto a Palazzo Chigi?

Due pesi e due misure? Ci sono decreti con corsie preferenziali e decreti che finiscono nei cassetti? Le domande non sono troppo peregrine nei giorni del decreto fiscale approvato e poi ritirato dal premier Matteo Renzi. Le stranezze politiche (ricostruite dal notista Francesco Damato) e i pasticci tecnici (raccontati dall’avvocato Giuseppe Pellacani) del provvedimento sono ormai note. Ma gli interrogativi sui cassetti governativi e le corsie di Palazzo Chigi si impongono in queste ore, dopo la strage di Parigi ad opera di franco-algerini al grido di “Allah è grande”.

Sui giornali di oggi si leggono alcuni articoli che parlano di provvedimenti in gestazione di contrasto al terrorismo. Ottimo. Ma non era stato già varato un decreto? Così rovistiamo nell’archivio del sito e ci imbattiamo in questo pezzo datato 10 ottobre 2014, tre mesi fa. Quel giorno il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nel corso di un seminario organizzato dal Centro studi americani, annuncia un decreto imminente. Scriveva il collega Michele Pierri: “Dopo il Regno Unito, anche l’Italia potrebbe dotarsi già nei prossimi giorni di norme ad hoc per contrastare il fenomeno dei foreign fighters, i cittadini occidentali che si uniscono a gruppi terroristi come lo Stato Islamico per combattere la loro guerra santa”.

Incipit basato su queste frasi pronunciate da Alfano nel corso del seminario: “L’Isis è una grande minaccia all’Occidente e non solo, alla quale l’Europa è chiamata a rispondere in una forma davvero unitaria. In Consiglio dei ministri porterò un provvedimento via decreto per risolvere alcuni vuoti normativi ed evitare che singoli possano decidere di andare a combattere all’estero“.

Quali sono le linee portanti del provvedimento? Ecco cosa scrive oggi Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera: “Introdurre misure mirate e selettive capaci di prevenire il rafforzamento di tali organizzazioni e di attuare più stringenti controlli sui mezzi e materiali che potrebbero essere impiegati per il compimento di attentati sul territorio nazionale. È la strategia concordata in sede europea per rendere più omogenee le varie legislazioni e per prevedere, tra l’altro, decreti «di vigilanza speciale come il ritiro del passaporto per chi manifesta l’intenzione di lasciare il Paese per arruolarsi» e l’obbligo di segnalazione per i commercianti in caso di vendita di quelle miscele che possono essere utilizzate per la fabbricazione di esplosivi”.

Il decreto del Viminale, dunque, era pronto ed era stato mandato alla presidenza del Consiglio. E che cosa è successo a Palazzo Chigi? Si è perso nella posta da smistare o è finito per errore nella posta indesiderata via email?

Qualche risposta si rintraccia in un articolo odierno di Marco Ludovico del quotidiano il Sole 24 Ore. Ludovico scrive che il decreto legge preparato era stato poi derubricato dal governo a disegno di legge. Ma le norme in ballo “forse potrebbero tornare decreto-legge e anche essere aggiornate alla luce dei nuovi fatti”.

Il provvedimento – scrive Ludovico – si concentrerebbe “nella punibilità dei sistemi di reclutamento dei combattenti: commette reato non più soltanto il reclutatore di potenziali terroristi, ma anche chi decide di seguire la dottrina eversiva”. C’è poi “una nuova ipotesi di reato destinata a punire l’organizzazione, il finanziamento e la propaganda di viaggi finalizzati al compimento di condotte con finalità di terrorismo”. E “le pene previste per questo reato si applicano anche al soggetto che acquisisce autonomamente o da terzi istruzioni sull’utilizzo di esplosivi, armi, sostanze chimiche o nocive, così come sulle tecniche per compiere atti di violenza o di sabotaggio”.

Ah, dunque un decreto già pronto era stato accantonato (per ulteriori approfondimenti). In attesa, forse, di qualche strage. A Parigi, a Roma o chissà dove.

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