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E’ guerra cyber. E l’Italia?

L’ultima beffa è apparsa sull’account Twitter del Centcomm, struttura centrale delle Forze Armate USA. Il social media del Pentagono è risultato vittima di hackeraggio da parte di un non meglio identificato gruppo di simpatizzanti dello Stato Islamico. Non vi sono state, per quel che è noto, violazioni gravi in termini di perdita di informazioni sensibili ma questo caso conferma una volta di più sia la vulnerabilità della rete sia la circostanza che proprio il web rappresenta uno dei terreni più significativi delle nuove guerre assimetriche.

La vicenda giunge dopo lo scandalo della Sony e molti altri episodi più o meno noti al grande pubblico. In gioco non ci sono evidentemente solo valori altamente simbolici. La tutela dello spazio cibernetico riguarda ciascuna istituzione, ciascuna impresa e ciascun cittadino. Dovunque. Anche in Italia. Pensiamo a cosa accadrebbe se pirati informatici si introducessero nel sistema bancario o energetico.

Il presidente Obama negli Stati Uniti ha deciso di premere l’acceleratore e di fare di questo tema una priorità. La Nato nel vertice internazionale di dicembre scorso ha fatto qualche passo in avanti, ancora tutto da implementare. Resta da capire cosa vorrà e potrà fare il nostro Paese. Come spesso accade, il mondo delle imprese – start up incluse – offre piacevolissime sorprese. Nella seconda parte del 2014 ben due società romane del settore – piccole ma con un profilo interessantissimo – hanno attratto investitori come Ibm e Accenture che le hanno acquisite.

Parlare di cybersecurity significa evidentemente investire e scegliere se e come puntare su campioni nazionali (si veda il ruolo di Finmeccanica con Selex ES e della partecipata Elettronica che ha appena dato vita a una promettente newco proprio dedicata ai temi della cyber-defense). Negli ultimi mesi, nei palazzi del governo si è discusso se le competenze dovessero essere accentrate o meno su Palazzo Chigi. Il ministero della Difesa e le forze armate non hanno voluto cedere alle proprie prerogative.

Il punto vero però non è chi decide ma cosa e come. Abbiamo sin qui accumulato ritardi, non sostenuto le nostre imprese ed anzi fatto accedere – in snodi cruciali – società (cinesi, ad esempio) che altri in Europa e in occidente hanno preferito tenere a debita distanza. La sicurezza elettronica è, in definitiva, un tema che non riguarda qualche “smanettone” ma la sicurezza integrale della nostra Repubblica e meriterebbe un coinvolgimento istituzionale a tutto tondo.

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