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Vi spiego come l’Italia combatterà il terrorismo islamico. Parla Stucchi (Copasir)

cyber security

La notizia dell’indagine della Procura di Roma su alcuni residenti in Italia accusati di terrorismo, si è unita, ieri, a quella di una riunione del Copasir. Un’occasione, per il sottosegretario con delega ai servizi segreti, Marco Minniti, di aggiornare il comitato sull’emergenza jihadista.

Che rischi concreti corre l’Italia? E cosa si sta facendo per migliorare la sicurezza delle nostre città? Tutti temi affrontati in una conversazione con Formiche.net da Giacomo Stucchi, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir).

​Presidente, che cosa si è detto durante la riunione del Copasir di ieri?

Il sottosegretario con delega ai servizi segreti, Marco Minniti, ha fornito al comitato un quadro completo relativo all’emergenza terrorismo, comprensivo di documenti classificati. Ha parlato della situazione in Italia, dei nostri foreign fighter, ma anche di che è accaduto a Parigi, comunicandoci anche alcune informazioni dell’intelligence francese. Non vi era invece nessun documento che facesse riferimento a rischi imminenti per la Penisola.

A proposito di foreign fighter: quanti sono quelli italiani? Dove sono in questo momento? E quanto è alto il rischio, unito a quello dei cosiddetti lupi solitari, che alcuni di loro tornino per colpire?

Come in tutto l’Occidente, non solo in Italia, i nostri valori sono oggetto di un attacco da parte dell’Isis e Al Qaeda. Questo non vuol dire che debba scattare la fobia. Le nostre forze dell’ordine hanno già alzato il livello di controllo, ma sono pronte a colpire. Ovviamente è impossibile prevedere tutto, soprattutto se a offendere sono cani sciolti, imprevedibili per definizione. Per quanto riguarda i foreign fighter, i  numeri sono quelli che ha dato il ministro dell’Interno Angelino Alfano: in Italia ne abbiamo censiti 53, dei quali conosciamo la loro identità e sappiamo dove si trovano. Più che altro il nostro Paese ha un’anomalia: secondo le leggi vigenti, è reato reclutare i combattenti, ma non non essere un foreign fighter. Questo va rivisto, assieme ad altre cose.

Quali iniziative il Copasir ritiene prioritarie per contrastare al meglio il terrorismo? E quali i tempi per realizzarle?

Tra una ventina di giorni, forse anche quindici, il comitato si riunirà nuovamente. Si discuterà di mettere a disposizione delle forze dell’ordine e della nostra intelligence, una maggiore disponibilità di risorse umane, soldi e apparecchiature, anche in ambito cyber. Un maggiore controllo della Rete è essenziale, così come l’attività dei nostri 007. Ma anche del bisogno di modifiche normative alla Legge quadro sui servizi – da sistemare anche sulla scorta delle esperienze positive degli apparati di altri Paesi – o di operare nelle pieghe delle leggi in vigore. Per ognuna di queste ipotesi, il Copasir ha riscontrato una forte sensibilità da parte del sottosegretario Minniti, che per questo ringraziamo. Anche in questo caso, infatti, ha voluto discutere preventivamente col comitato la proposta che verrà poi portata in Parlamento.

Dal vertice di Parigi, al quale ha preso parte Alfano, sono emerse altre misure, come quella di un maggiore controllo sui passeggeri. Che ne pensa? Come il suo leader della Lega, Matteo Salvini, anche lei ritiene che Schengen vada rivisto?

Per ciò che riguarda le liste dei passeggeri, credo che tutto il Copasir ritenga importante che tra i Paesi dell’Unione e gli Stati Uniti vi sia una condivisione di informazioni che possono essere utili a identificare eventuali soggetti pericolosi. Sì, credo che Schengen – questa invece è la mia opinione – vada rivisto completamente. Quel tipo di libera circolazione è stata concepita in altri momenti, quando non c’erano pericoli. In passato si sono adottate maglie molto larghe. Oggi non possiamo consentire che quel tipo di circolazione divenga uno strumento di terrorismo.

Crede si vada verso un’intelligence europea, come si è detto in queste ore?

Per quanto riguarda il terrorismo credo di sì. Vedo invece molto difficile che ciò si concretizzi, almeno a breve, in settori come l’intelligence economica. Ogni Paese è ancora troppo concentrato sui propri interessi. Difficilmente sarà disposto a condividere informazioni di quel tipo. Lo scambio continuerà ad essere giocoforza limitato.

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