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Che cosa accadrà alle partite Iva?

Nel corso degli anni Novanta e Duemila i richiami e gli appelli al “popolo delle partite Iva” risuonavano nei comizi e interventi pubblici delle forze politiche che si proclamavano riformatrici, a volte rivoluzionarie. Ma le aspirazioni a farsi interpreti del moderno “Terzo Stato” dei lavoratori autonomi e non garantiti sono crollate miseramente alla prova dei fatti.

Promesse tradite

Nessuna delle formazioni in cui hanno creduto milioni di persone animate dal sogno di divenire “imprenditrici di se stesse” ha fornito loro una credibile rappresentanza istituzionale.

Non lo hanno saputo fare Lega Nord e Forza Italia. Né il Movimento Cinque Stelle che nel voto del febbraio 2013 raccolse a sorpresa la rabbia e le istanza di un ceto produttivo fondamentale quanto soffocato da fisco e burocrazia intollerabili.

E finora neanche il Partito democratico di Matteo Renzi, che ne conquistò la fiducia nelle elezioni europee del maggio scorso, è stato in grado di rispondere alle loro attese. Chi ha sollevato per primo e con forza a livello giornalistico il tema delle partite Iva – dopo le novità introdotte dal governo – è stato il Corriere della Sera con la penna di Dario Di Vico.

Un regime fiscale penalizzante

Come ricostruito dal giuslavorista Giuliano Cazzola, la Legge di stabilità approvata da governo e Parlamento per il 2015 ha profondamente cambiato il regime tributario e previdenziale a carico dei liberi professionisti attivi al di fuori di ordini: formatori, ricercatori, informatici, consulenti, fornitori di imprese e Pubblica amministrazione.

Al posto della tassa del 5 per cento applicata per tutti i redditi fino a 30mila euro annui, viene introdotta un’imposta del 15 per cento sui guadagni compresi tra 15mila e 40mila euro. Nel nuovo assetto, peraltro, i costi sostenuti per svolgere l’attività lavorativa non vengono calcolati con precisione ma soltanto supposti.

Sgravi tributari e contributivi a vantaggio di commercianti e artigiani

La replica di Palazzo Chigi è stata repentina. Perché la soglia dei 15mila euro di reddito annuo è il requisito per beneficiare degli sgravi fiscali e contributivi pari a 800 milioni previsti nella manovra finanziaria.

Peccato che, rimarca l’esperto Cazzola, il 60 per cento di tali risorse – 520 milioni di euro – andranno a favorire esclusivamente artigiani e commercianti. Rispetto a benefici evidenti per una parte del lavoro autonomo, migliaia di professionisti free lance  impegnati nei comparti a elevata creatività e innovazione tecnologica hanno ricevuto un’ulteriore beffa.

L’incremento secco dei versamenti per le pensioni

La Legge di stabilità prevede infatti l’aumento secco dal 27 al 30,72 per cento dei contributi che essi devono versare alla gestione separata dell’Istituto nazionale di previdenza sociale.

Una cifra che viene sottratta direttamente dal fatturato annuo. Nettamente superiore rispetto a quanto dovuto da tutti gli altri lavoratori autonomi – il 24 per cento a regime – dal 25 versato dai loro colleghi dipendenti, dal 26 delle persone inquadrate in ordini professionali che pure hanno subito un aggravio a confronto con il 20 per cento precedente.

La beffa del 2018

Ma non è tutto. Nel 2018 per il “popolo delle partite Iva” dovrebbe scattare un ulteriore inasprimento dell’aliquota contributiva, che raggiungerebbe il 33,72 per cento del reddito.

Un trattamento punitivo, che non trova plausibili giustificazioni economiche e contabili. Anche perché nello stesso tempo non è previsto nessun meccanismo premiale per chi è completamente rintracciabile nei pagamenti e contribuisce perciò a combattere evasione ed elusione fiscale.

Governo pronto a intervenire?

L’esecutivo sembra aver maturato la consapevolezza del problema e del grave errore compiuto. Coerentemente con le parole già pronunciate al termine del 2014 dal premier, il responsabile del Welfare Giuliano Poletti spiega che “il governo correggerà il tiro sulla tassazione e i contribuiti per i lavoratori partite Iva”. Provvedimento che è “all’ordine del giorno e verrà promosso presto, senza attendere la prossima manovra di bilancio”.

Il Corriere della Sera prefigura due ipotesi allo studio di Palazzo Chigi in vista del decreto legge “Milleproroghe”.

La prima, formulata dal sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, contempla la reintroduzione delle vecchie regole fiscali per i giovani con meno di 35 anni o per i primi 5 anni di attività. La seconda, contenuta in una risoluzione parlamentare del Partito democratico, propone di rivedere soglie e aliquote per alcune categorie di lavoratori autonomi.

Il rischio di provvedimenti non risolutivi

Per quanto riguarda i contributi previdenziali, il Sole 24 Ore parla di “retromarcia sulle partite Iva dopo un anno di inerzia”. E prospetta l’eventualità del “congelamento” dell’aliquota da versare alla gestione separata dell’INPS.

Non è chiaro se la cifra in esame corrisponda al 30,7 per cento del reddito prevista dalla Legge di stabilità o se si tratti del 27 per cento stabilito dal regime precedente.

E permane il rischio, scrive il giornale economico, di un ulteriore provvedimento tampone a fronte dell’esigenza di un intervento strutturale e definitivo.

Tornare a regole fiscali e contributive più tollerabili

Nell’attesa di un’iniziativa limpida dell’esecutivo su un tema così controverso, il Parlamento vede crescere una mobilitazione eterogenea delle forze politiche.

Per impulso della deputata del Novo Centro-destra Barbara Saltamartini, è nato il comitato “#PartiteIva #LaPartitanonèchiusa”. La cui priorità è rappresentata da un emendamento al Dl “Milleproroghe” finalizzato a riportare in auge l’aliquota contributiva previdenziale del 27 per cento in vigore nel 2014.

Misura che per i promotori dovrà essere affiancata da un provvedimento ad hoc del governo orientato a ripristinare il prelievo fiscale del 5 per cento sui redditi fino a 30mila euro annui.

Un primo passo

“Finalmente – osserva la presidente dell’Associazione dei professionisti del terziario avanzato Anna Soru – il ceto politico si accorge dell’esistenza di un mondo del tutto ignorato dallo stesso Jobs Act”.

Un passo in avanti, dunque. Ma non basta: “Perché al riconoscimento ripetuto degli errori non è corrisposto finora alcun rimedio concreto”.

Un trattamento analogo rispetto agli altri lavoratori

A partire dal “provvedimento tampone” del ritorno al regime tributario precedente. Regime che a suo giudizio deve essere esteso a chi guadagna poco pur avendo avviato da tempo l’attività autonoma e ha superato i 35 anni. L’alternativa da lei proposta è allargare a tutti, compresi i lavoratori partita Iva, il beneficio degli 80 euro nella busta paga mensile.

Ma Soru caldeggia un intervento di ampio respiro: “Capace di includere il riconoscimento di malattie conclamate, serie e invalidanti. E un supporto concreto per lo stato di disoccupazione prolungata tramite una rete di autentici ammortizzatori universali come nei paesi anglosassoni e scandinavi. Ci aspettiamo, in poche parole, lo stesso trattamento previsto per i lavoratori dipendenti”.

Filosofia nel quale rientra la richiesta di rendere omogeneo il regime previdenziale previsto per i “colleghi” commercianti e artigiani, che a regime verseranno il 24 per cento del reddito: “Essendo tutti lavoratori autonomi soggetti al calcolo contributivo, perché siamo costretti a versare una cifra superiore?”

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