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Garanzia Giovani, perché le Regioni hanno fallito. Avanti con l’Inps?

Gli operatori del settore sostengono che vi è molto interesse, nel mondo dell’impresa (inclusi gli investitori internazionali) per quanto sta maturando, in Italia, in materia di lavoro. Del resto, anche Jirki Katainen, il ‘’falco’’, il vice presidente finlandese della Commissione Ue, nella sua recente visita nel nostro Paese, ha espresso parole di apprezzamento per le riforme in cantiere.

Più che il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (in verità, sarebbe meglio parlare di tutele ridotte), a persuadere le aziende è il bonus fiscale e contributivo di 8mila euro per un triennio a favore delle assunzioni ‘’stabili’’ effettuate nell’anno in corso. A conti fatti, si tratta, nell’arco temporale considerato, di un ammontare pari a 24mila euro: ciò significa che, su tre annualità di retribuzione lorda, una è a totale carico dello Stato. Certo, non vi sono garanzie che la pacchia prosegua anche negli anni successivi.

Ma è a questo punto che interviene la nuova disciplina dei licenziamenti: se sarà confermata la normativa contenuta nello schema diramato alle Camere per i pareri di competenza (dal testo è stato espunto l’articolo riguardante il contratto di ricollocazione, destinato a trovare spazio in un altro provvedimento), se il Governo riuscirà a non deviare dall’impostazione originaria nonostante le pressanti richieste di modifica che perverranno soprattutto dalla Commissione Lavoro di Montecitorio, le imprese concluderanno che si può correre il rischio di assumere con il contratto di nuovo conio.

Ma la partita è tuttora aperta, perché è vero che l’incentivo è robusto, ma sono tanti i datori che preferiscono pagare di più (avvalendosi del contratto a termine ‘’acausale’’) piuttosto che correre il rischio di essere trascinati in giudizio a seguito di un licenziamento. Non a caso quando entrò in vigore il contratto a tempo determinato made by Poletti, crollarono le domande di assunzione in osservanza di quanto previsto nel ‘’pacchetto Giovannini’’, benché i benefici per i datori non fossero indifferenti (fino a 600 euro mensili per 18 mensilità). In sostanza, il contratto a termine ‘’acausale’’ per la durata di 36 mesi e con la possibilità di 5 proroghe è vivo e lotta insieme a noi.

Non a caso, in materia, c’è da aspettarsi – lo si annuncia nell’ambito del decreto sulla semplificazione e razionalizzazione delle forme contrattuali – una vistosa marcia indietro dell’esecutivo. Intanto, però, il Governo deve esercitare ogni possibile attività di moral suasion affinchè il contratto a tutele crescenti divenga al più presto operativo e sia in grado di ricevere in dote gli incentivi previsti.

Se, nell’incertezza dei tempi, le imprese convertissero in assunzioni a tempo indeterminato quelle effettuate – a termine – nel corso del 2014, non vi sarebbe – si teme – occupazione aggiuntiva, ma soltanto un diverso mix tra le tipologie di assunzione. È una preoccupazione che esiste tra gli operatori, ma che non ci convince del tutto. Siamo, infatti, dell’opinione che, anche in presenza di un ricco incentivo come quello disposto dalla legge di stabilità, ben pochi (in vigenza delle precedenti regole sul recesso) assumerebbero a tempo indeterminato, anziché farlo con un rapporto a termine ‘’liberalizzato’’ per un triennio.

C’è da augurarsi, poi, che – una volta chiuso il ‘’tormentone’’ delle tutele, per i neoassunti, in caso di licenziamento e sistemati, almeno in via sperimentale, i nuovi ammortizzatori sociali – lo sguardo del Governo (in funzione di legislatore delegato) si allarghi ad un orizzonte più ampio: a partire dalle politiche attive del lavoro. A tal proposito occorre prendere atto della cattiva prova fornita nella gestione del programma ‘’Garanzia giovani’’. L’obiettivo prefissato non era quello di garantire posti di lavoro, ma di ‘’stanare’’ i Neet, (i giovani che non studiano più, non hanno ancora un’occupazione e non la cercano) inducendoli ad accostarsi al mercato del lavoro e a ricercare degli standard di maggiore occupabilità.

Recenti dati statistici confermano, purtroppo, che il numero dei Neet non è diminuito; ma l’estraneità al mercato del lavoro sembra derivare (piuttosto che da un loro disinteresse) dalla inadeguatezza delle istituzioni preposte, nel fornire loro congrue opportunità. Non a caso il programma ‘’Garanzia giovani’’ è andato in tilt già nella prima fase, quando ai Centri per l’impiego e alle Agenzie del lavoro veniva richiesta soltanto la ‘’presa in carico’’ dei giovani che avevano presentato domanda d’iscrizione. E’ il momento di una svolta centralistica. Le politiche attive vanno sottratte alle Regioni nel quadro della riforma costituzionale in corso. Essendo ormai le Province dei cadaveri, occorre trovare altri strumenti in grado di promuovere delle politiche attive e nel medesimo tempo di gestire quelle passive (l’erogazione degli ammortizzatori sociali).

Questa struttura non potrà essere il baraccone di una nuova Agenzia nazionale. Il soggetto istituzionale adeguato è l’Inps. L’Istituto ha una struttura di carattere nazionale sostanzialmente uniforme e dispone di una banca dati e di un potenziale informatico all’altezza del Pentagono. Certo non ha know how nel campo delle politiche del lavoro. Ecco perché all’Inps dovranno fare riferimento, in via di alta amministrazione, i Centri per l’impiego pubblici a cui spetterà il compito della ‘’presa in carico’’ dei lavoratori e del loro ‘’smistamento’’ alle Agenzie private accreditate e vigilate. Se si deve essere rispettosi, in via formale, della delega, si potrà definire come ‘’Agenzia nazionale dell’occupazione’’, l’apposito servizio costituito presso l’Inps.

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