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Così Obama vuole sedurre la classe media

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class e dell’autore, pubblichiamo il commento di Alberto Pasolini Zanelli uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Neve, molta, nelle vie di Washington. Ghiaccio, compatto, nelle aule del Congresso. E fuoco, intenso, nelle reazioni dell’opposizione repubblicana (che da pochi giorni è maggioranza sia alla camera sia in senato). Queste le temperature delle reazioni a due discorsi di Obama, uno programmatico ai legislatori; uno, pacato quanto esplicito, alla nazione americana nell’appuntamento annuo del rapporto presidenziale sullo stato dell’Unione.

E poche sorprese, tranne che nei toni: un Obama all’attacco lo si vede e lo si ascolta di rado, proprio solo nelle grandi occasioni. Questa era la penultima; la prossima, fra un anno, sarà quella dell’addio. Poche sorprese, nella sostanza, e molta chiarezza. Protagonista la classe media, con il presidente come portavoce, leader e compilatore dei suoi cahiers de doléances.

La classe media colpita e salassata, negli Stati Uniti e in quasi tutto il mondo, da quasi dieci anni, la vera vittima degli errori politici, di crampi economici paralizzanti e soprattutto dei terremoti tecnologici, degli eventi di cui si discuterà fra pochi giorni in un’altra sede, a Davos, da altre voci, espressioni soprattutto di altri interessi. Se lo stato dell’Unione fosse solo il resoconto annuale della più grande azienda del mondo, il relatore avrebbe potuto presentare un bilancio positivo, particolarmente in economia. La disoccupazione, principale flagello planetario, è praticamente dimezzata negli Usa negli anni di Obama al timone: è scesa al 5,6% mentre l’Europa dell’austerity è ancora sopra quota 12.

Da Grande recessione a Grande ripresa. Se non fosse che a pagarne le spese sia stato quel ceto che raccoglie la grande maggioranza degli americani, come del resto di tutte le democrazie, cui hanno dato origine e di cui nutrono la continuata esistenza. Se non fosse che i redditi medi di questa classe media non si siano mediamente abbassati, principalmente e più visibilmente i salari reali, il potere d’acquisto, la fetta del benessere. Se questo fosse ancora distribuito come nel 1979, l’80% degli americani possiederebbe un trilione di dollari (860 mld euro) in più e l’1% più ricco un trilione di dollari in meno. Di tanto si è spostata la bilancia, conseguenza della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica, del minor potere contrattuale di impiegati e salariati, di un ritmo imprenditoriale a più breve termine, della mutata struttura fiscale.

Obama aveva già esposto e criticato questo rovescio della medaglia del progresso raccogliendo più critiche che consensi, anche nella classe media. Propone riforme nel solo campo in cui può intervenire il potere di governo. Non può cancellare internet, i droni, i robot che lavorano e pensano al posto degli esseri umani e non chiedono un salario. Può cercare di avviare, o almeno proporre, una «controriforma» fiscale. Nel discorso sullo stato dell’Unione ha esposto per la prima volta i cardini di un programma completo, decisamente redistributivo.

Solo due esempi: aumento della tassa massima sui profitti da capitale (dal 23,8 al 28%) e sulle eredità, sul capitale delle cento più grosse aziende finanziarie e diminuzione, invece, delle imposte sui redditi bassi e medi. Le chance che tali riforme passino in blocco in un Congresso ostile sono minime. Esse potrebbero però venire discusse, incrinare dei tabù, inquinare il lessico. Qualche segnale c’è. Il nuovo presidente repubblicano della camera, John Boenher, ha parlato dei «troppi che lavorano duro, ma perdono terreno a causa degli stipendi stagnanti e dell’aumento dei costi». E fra i candidati repubblicani alla Casa Bianca uno, Jeb Bush, ha parlato di «raddrizzare la scala dei redditi». Un altro, il superconservatore Marco Rubio, ha scritto un libro, Sogni americani, in cui si incita a «lottare contra la crescente diseguaglianza». E un terzo, Mitt Romney, sconfitto da Obama nel 2000, lo critica adesso perché «sotto la sua presidenza le diseguaglianze sono peggiorate» e «i ricchi sono diventati più ricchi». La neve di Washington porta disgelo?

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