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La corsa di Amato sulla pista congestionata di Renzi e Berlusconi

Le tensioni cresciute all’interno dei rispettivi partiti, ma anche le reazioni degli altri, dopo l’accordo rafforzatosi fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sulla controversa riforma elettorale, intesa anche come antipasto di una convergenza sul nuovo presidente della Repubblica, rischiano di indebolire ulteriormente la candidatura di Giuliano Amato. Che fu lanciata per primo da Berlusconi, quando ancora Giorgio Napolitano non aveva formalizzato le sue dimissioni, nella speranza di farla digerire, magari con l’aiuto di autorevoli esponenti del Pd, ad un presidente del Consiglio quasi geneticamente diffidente verso figure o profili quirinalizi troppo datati o marcati. E perciò capaci, per esperienza e autorevolezza, di risultare d’ingombro per quel modo tutto renziano di guidare il governo che ha forse contribuito all’”affaticamento” dichiarato da Napolitano nel motivare l’interruzione volontaria del suo secondo mandato presidenziale.

Male che vada, tuttavia, anche se non dovesse riuscire neppure questa volta a vincere la corsa al Quirinale, Amato è riuscito a ottenere un sostanziale riavvicinamento alla famiglia di Bettino Craxi. Un risultato gratificante per lui. Che, nonostante le apparenze o le rappresentazioni di uomo cinico o indifferente fattene da vecchi e nuovi critici o avversari, ha molto sofferto in passato le incomprensioni e polemiche con lo stesso Craxi, morto quindici anni fa in Tunisia senza che potessero in qualche modo chiarirsi e riconciliarsi.

Il figlio di Craxi, Bobo, prima ha auspicato con pubbliche dichiarazioni la successione di Amato a Napolitano. Poi con un articolo affidato al giornale diretto da Piero SansonettiLe cronache del Garantista” ha riconosciuto la obbiettiva e drammatica crisi in cui si trovò il padre nel 1992. Una crisi in cui maturò il deterioramento dei rapporti con chi – Amato, appunto – ne era stato a lungo fra i più stretti e fidati collaboratori.

Bobo ha scritto, in particolare, che Bettino “da innovatore della politica italiana, da outsider che si incuneò nello spazio residuo lasciato dalle grandi chiese politiche italiane, la Dc e il Pci, si trovò all’improvviso ad affrontare a mani nude non solo l’accelerazione della crisi politica della Prima Repubblica e dei partiti, ma anche a fungerne da estremo baluardo, incarnandone l’aspetto più deteriore della corruzione”.

E’ un’analisi fredda, analoga a quella fatta a suo tempo proprio da Amato, e che pure non piacque al leader socialista. Il quale, unendola alla delusione per i ritardi con i quali a Palazzo Chigi Amato aveva affrontato nel 1993 il nodo della cosiddetta uscita politica da Tangentopoli -sino a subire silenziosamente la resa dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro alle minacciose resistenze opposte dalla Procura della Repubblica di Milano a un decreto legge finalmente approvato dal Consiglio dei Ministri per la depenalizzazione del finanziamento illecito dei partiti – liquidò il suo antico e fedele collaboratore con parole e gesti sprezzanti. In particolare, gli diede del “professionista a contratto”, finito cioè a contratto anche con i suoi avversari, e poi lo incluse in una serie litografica di “bugiardi ed extraterrestri”, con lo stesso Scalfaro, Napolitano, Achille Occhetto, Eugenio Scalfari e Giovanni Spadolini. Che nel frattempo era anche morto.

Pur meno compiaciuta del fratello Bobo, per niente autocritica, chiusa nel rifiuto del “perdono” come doverosa “categoria dello spirito”, Stefania Craxi si è dichiarata ugualmente “lieta” di una candidatura di Amato al Quirinale – “se è davvero in corsa”, ha precisato – apprezzandone la “grande intelligenza”. E lo ha sfidato, se eletto, a quella visita riparatrice sinora mancata alla tomba di Bettino per “restituire l’onore politico” troppo a lungo negatogli.

Tutto questo magari non avverrà, o addirittura contribuirà a che non accada, essendo ancora in molti a sinistra e dintorni a rimproverare ad Amato i suoi trascorsi craxiani. Ma penso che possano avergli fatto piacere le parole di Bobo e Stefania Craxi, neppure loro usciti peraltro politicamente uniti dalla tragica vicenda del padre. Pur essendo entrambi arrivati alla Camera come candidati del centrodestra, l’uno nel 2001 e l’altra nel 2006, hanno avuto esperienze di governo alla Farnesina di segno o colore opposto. Bobo è stato, fra il 2006 e il 2008, sottosegretario del ministro degli Esteri Massimo D’Alema, Stefania dell’allora berlusconiano Franco Frattini, fra il 2008 e il 2011.

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